"Retroscena" Rimpasto con una sola mossa
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martedì 12 aprile 2005
Retroscena
IL VERTICE DI MAGGIORANZA SLITTA A GIOVEDÌ, OGGI L’INCONTRO CON CIAMPI Rimpasto con una sola mossa «Un nuovo ministro per il Sud»
Augusto Minzolini
ROMA L’UNICO punto fermo del “rimpasto” di governo che ha in testa Silvio Berlusconi è la creazione di un ministero per il Sud. E’ l’unica cosa che ripete in tutti i colloqui di questi giorni e dovrebbe essere il simbolo della nuova attenzione del governo verso il Mezzogiorno, l’area elettorale della penisola che ha più penalizzato il centro-destra. Nel nuovo ministero dovrebbero confluire competenze dei ministeri delle infrastrutture, delle attività produtive e dell’economia. Ovviamente, per una poltrona del genere il nome che viene subito in mente è quello dell’ex-coordinatore di Forza Italia in Sicilia e vice-ministro dell’Economia, Gianfranco Miccichè. Ma non è il solo papabile.
Se su questo punto il premier è sparato e non ha dubbi, sul resto, cioè sul numero dei ministeri che dovrebbe coinvolgere il cosidetto “rimpasto”, le sue opinioni cambiano a seconda degli interlocutori, ma con una spiccata preferenza. Il Cavaliere, infatti, per natura e convinzione, predilige l’ipotesi minimale: «Facciamo il ministero del Sud, presentiamo un programma più attento al Mezzogiorno e ai ceti più deboli senza mettere da parte la riforma fiscale - ha spiegato venerdì scorso al segretario del Pri, Francesco Nucara - e andiamo avanti». L’altra opzione, invece, quella che prevede la rimozione di ministri tecnici come Lunardi e Sirchia, o, per altri motivi, Marzano, appare sempre più remota. Al massimo l’intera operazione potrebbe esaursi con il siluramento di uno dei tre.
I motivi sono diversi. Innazitutto il Quirinale: oggi il premier salirà sul Colle ma uno dei suoi ambasciatori presso il Capo dello Stato non si fa illusioni. «Se noi scartiamo l’ipotesi di un Berlusconi bis che prevede una crisi di governo lampo, al massimo Ciampi - è l’istruttoria che ha preparato per il Cavaliere - accetterà il cambio di un ministro. Se chiediamo di più potrebbe innescarsi una nuova polemica che, visti i tempi, non appare opportuna». Poi, c’è un altro dato non secondario: visto che Francesco Storace non è disponibile ad entrare nel governo (e la collocazione dell’ex-governatore del Lazio è il vero problema di Gianfranco Fini), gli altri candidati al posto di ministro non impensieriscono più di tanto il premier. Infine c’è l’atteggiamento dei partiti: Alleanza Nazionale ha già escluso l’ipotesi delle elezioni anticipate e l’idea del Berlusconi «bis» è più una richiesta di bandiera visto che il premier non ne vuol sentire parlare («allora meglio le urne» è il suo leit motiv); gli ex-dc non sono per nulla appassionati al «rimpasto» e semmai, in teoria, dovrebbe essere il Cavaliere ad immaginare una poltrona per i siciliani Cuffaro o Lombardo non fosse altro per ancorarli all’area del centro-destra.
In queste condizioni è evidente che la «discontinuità» di cui hanno parlato ai quattro venti Fini, Casini e Follini sarà assicurata più da un profondo rimaneggiamento del programma che non da new-entry nel governo. Anche perchè Berlusconi è sempre più convinto di un dato: «Uno che vuole andare alle elezioni per vincere - è la dissertazione a cui si è lasciato andare con l’amico Sandro Fontana - non si pone di certo il problema delle proporzioni del rimpasto, ma semmai si preoccupa dell’immagine del governo e della coalizione. Chiede delle modifiche al programma, fa dei suggerimenti ma alla fine si rimbocca le maniche punto e basta. La verità è che molti dei cari alleati non hanno l’obiettivo di vincere ma di fare la pelle a me. Del resto chi teorizza di votare il 26 giugno, o è un folle, o in realtà vuole disfarsi del sottoscritto: chi mai potrebbe andare a votare in una data del genere, in estate inoltrata, quando molti dei nostri elettori sono quelli della seconda casa. Per cui non prendiamoci in giro, o gli alleati accettano un’intesa vera o, semmai, se saranno loro a smarcarsi con qualche imboscata, si può anche andare alle urne ma senza di loro, magari ad ottobre. Tutti sono avvisati, a cominciare dagli ex-dc. Su questo dobbiamo essere chiari, perchè quando si compete con questa sinistra l’alternativa non è tra governo e opposizione, ma tra governo e un’altra tangentopoli».
Questo è lo spirito con cui il premier si prepara al vertice di giovedì: dalla sua ha la solidarietà di Bossi e una mezza intesa con Fini e Casini. Rimane il recalcitrante Follini, che non vuole battersi ma, al solito, spera nella guerriglia dei prossimi mesi. Anche per lui, però, i margini cominciano ad essere stretti. «Ho detto testualmente al Cavaliere che è una testa di cavolo - confida Gianni De Michelis - doveva andare subito alle elezioni per non rischiare di regalare cinquecento deputati alla sinistra. Ma ha scelto un’altra strada e ora deve andare avanti senza guardare in faccia nessuno, a cominciare dalla Lega, marcando fino in fondo la sua leadership nel governo e nella coalizione. Il suo istinto di sopravvivenza potrebbe farci un’altra sorpresa».
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