"Quelle frasi sono una provocazione" e gli operai in mensa decidono lo stop
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Dal salone dell´auto di Detroit alla sala mensa dello stabilimento Fiat di Termini Imerese la distanza non è poi così lunga. E quando il volto di Sergio Marchionne, lunedì sera, è comparso in un monitor della fabbrica siciliana, davanti agli operai riuniti in assemblea, sono partiti fischi e improperi. Sul video, in sovrimpressione, le parole del manager che ribadiva la chiusura di Termini. Dal vivo le urla delle tute blu, sedate solo dopo qualche minuto dai sindacalisti. È in quel preciso momento, nella pancia della vecchia Sicilfiat, che è partita l´ultima rivolta dei dipendenti. E così ieri mattina, nel reparto montaggio, agli operai non è servita neppure la lettura dei quotidiani per decidere gli scioperi spontanei, a rotazione, delle squadre di lavoro. In cento hanno incrociato le braccia per un´ora. Attività solo rallentata, in vista dello stop di otto ore programmato per oggi, con la manifestazione di Fiom, Fim e Uilm davanti alla sede dell´Assemblea regionale siciliana. Gli operai dello stabilimento Fiat e dell´indotto partiranno con sei pullman e con auto private alla volta di Palermo. E ora Roberto Mastrosimone, sindacalista della Fiom e leader storico delle proteste termitane, teme «che la situazione possa degenerare». Mastrosimone, davanti ai cancelli dello stabilimento, dice che «questa gente, già in fibrillazione per la prospettiva di perdere il posto di lavoro, è stufa delle provocazioni. È stufa di sentirsi dire un giorno sì e l´altro pure che Termini non ha speranze. O che il problema della Sicilia è quello di essere troppo lontana dalla Lombardia. Sia chiaro: il sindacato farà di tutto per mantenere l´ordine. Ma della tensione crescente non possiamo essere noi i responsabili».
Termini, in questo martedì di freddo pungente, è divisa fra rabbia e rassegnazione. Nello stabilimento della Magneti Marelli va in scena un´assemblea dei 134 dipendenti. «Con Fiat è inutile discutere - dice Vincenzo Polizzi, 35 anni, manutentore - L´azienda ha già deciso: si chiude. Ora faccia qualcosa la politica. Dov´è Berlusconi, per cui ho votato? Dove sono i palermitani Alfano e Schifani? Dov´è Gianfranco Micciché, che era vicesindaco di Termini Imerese fino a qualche settimana fa? Loro, come siciliani, non si sentono offesi da Marchionne?». Anche la moglie di Polizzi lavorava nell´azienda dell´indotto Fiat. «È stata licenziata l´anno scorso, fra poco potrebbe toccare a me - dice - Ci tocca campare in quattro con un unico reddito da 1.300 euro al mese. Sa cos´ha chiesto la mia bambina di 8 anni a Babbo Natale? il lavoro per i papà del paese. Nella mia cittadina, Trabia, vivono 250 famiglie di operai Fiat. La chiusura dello stabilimento sarebbe una tragedia. In Sicilia vengano pure i cinesi o gli indiani: basta che ci garantiscano una stabilità d´impiego».
Storie familiari di ansia e incertezza. Francesco Conte, 46 anni, lavora alla Lear che fabbrica sedili, il fratello più piccolo è impiegato alla Bienne Sud, dove si verniciano i paraurti: «Marchionne? Dalle sue parole traspare una punta di razzismo. Non ci venga a raccontare che non siamo produttivi, che mantenere Termini costa troppo. Le spese di trasporto sono cresciute perché a partire dal 2005 hanno trasferito altrove le fabbriche dell´indotto. Oggi le fiancate delle Ypsilon le portano da Melfi. Ogni Tir ne può contenere solo quattro, si rende conto della spesa?». Il futuro è un´incognita, in Sicilia altre vertenze come quella dell´Italtel di Carini segnano la fine del sogno dell´industrializzazione. Ma le tute blu di Termini non si arrendono. «Non ci resta che la lotta - prosegue Conte - Siamo troppo lontani dalla pensione e tornare a fare gli agricoltori è impossibile. Come competere, oggi, con gli extracomunitari che raccolgono le arance per 20 euro a giornata?».