28/3/2006 ore: 10:23
"Precari" Se il futuro si tinge di nero
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Pagina 53 - Varie/Diario Precari Se il futuro si tinge di nero
A chiedere un lavoro, pregando, i precari e le precarie sono costretti dalla acuta percezione della loro individuale superfluit? e sostituibilit?, in quanto membri della forza lavoro globale. Percezione in essi coltivata a opera della scuola, dalle medie ai master in Ingegneria finanziaria, non meno che dai mezzi di comunicazione e dal discorso politico. Una persona accetta quel lavoro soggetto a revoca vuoi perch? sa benissimo che nei suoi dintorni vi sono altre cento come lei pronte a subentrare nel medesimo posto, vuoi perch? sa pure che in India o in Cina, in Brasile o nel Sud Africa altre migliaia d?individui sono disponibili per quel lavoro, con una retribuzione cinque o dieci volte inferiore. Ciascuno di essi etichettato come tendenzialmente superfluo dalla tecnologia, abbinata all?ideale metafisico eppur pienamente operante dell?impresa con zero dipendenti, e comunque reso sostituibile in ogni momento dalla omogenizzazione delle competenze necessarie per svolgere la maggior parte dei lavori. Se dal loro paese essi non si spostano, come accade, sar? il lavoro a trasferirsi dalle loro parti. Conviene dunque accettarlo, quel lavoro revocabile, quali che siano la durata e la paga. Precari sono coloro cui i teorici della terza via raccomandano, quale mezzo di autorealizzazione e insieme espressione della cosiddetta "nuova ragionevolezza", di concepire il proprio io e la propria famiglia come una societ? per azioni. La proposta ? contenuta, alla lettera, nel rapporto preparatorio della legge tedesca di riforma del mercato del lavoro, denominata dal suo principale autore Hartz-IV, entrata in vigore all?inizio del 2005. L?idea di un io-Spa e di famiglia-Spa non ? in fondo molto diversa da quella di autoimprenditorialit?, da tempo raccomandata pure in Italia ai giovani nel quadro delle politiche attive del lavoro, per? ? tecnicamente meglio definita. Quando una persona arrivi a concepire s? stessa come una Spa, si sostiene, essa sapr? valutare pi? razionalmente - ossia con rinnovata ragionevolezza - il rapporto costo/benefici di differenti strategie di impiego della propria forza lavoro. Si render? conto, ad esempio, che dopo aver perso il posto perch? la sua azienda ? stata delocalizzata in Moldovia, ? meglio accettarne un altro pagato il 20 per cento in meno, meno qualificato, di breve durata, e a 50 chilometri da casa, piuttosto che restar senza lavoro e perdere pure il sussidio di disoccupazione. Normative simili alla Hartz-IV sono state varate nel Regno Unito e in Francia, e dottamente proposte, in varie forme, pure da noi. Resta da precisare, in codeste normative, in qual modo la famiglia-Spa di un lavoratore o una lavoratrice precaria possa riuscire a far salire il proprio valore borsistico, come usano le imprese, mediante massicci riacquisti di azioni proprie. Sono anche, i precari, campioni internazionali della presenza ubiquitaria. Si incontrano, con una frequenza non osservabile per alcun altro tipo di lavoratore, in aziende di ogni dimensione e di tutti i settori dell?industria manifatturiera e delle costruzioni, nonch? nelle compagnie teatrali e nei centri di ricerca, nell?editoria e nelle micro-aziende di informatica, nella moda - da cui il termine tecnico pr?t-?-pr?cariser - e nei cantieri navali. E naturalmente, a legioni, nella Pubblica amministrazione, dalla scuola agli enti territoriali. Tutte persone accomunate dallo svolgere un lavoro che a distanza di alcune settimane o di pochi mesi potr? forse essere rinnovato, mediante un ennesimo contratto di durata determinata e normalmente breve, ma che potrebbe anche, dall?alto o da lontano non fa differenza, venire revocato. Donde la pressione cui si ? sottoposti per apparire sempre super-performanti, diligenti, ben adattati alle mansioni da svolgere, e soprattutto - a costo di ammalarsi - in buona salute. La collocazione ubiquitaria dei precari, non meno dell?ubiquit? delle condizioni in cui operano, ha contribuito a diffondere tra loro una comune cultura del lavoro. Essa ruota attorno all?idea che ormai ? la normalit? stessa del lavoro, quella che per una o due generazioni i genitori o i nonni avevano conosciuto, a esser stata revocata. Qualcuno l?aveva autorizzata, senza specificare per quanto a lungo; qualcun altro sembra aver ritirato all?improvviso l?autorizzazione. Per i precari, ? la normalit? a esser diventata atipica. Non da ultimo, i precari rappresentano una contraddizione inscritta nel profondo d?una societ? che dichiara di volersi fondare sempre pi? sulla conoscenza. Quelli di loro - non sono pochi - che riescono a mantenere un percorso coerente entro un dato ambito professionale, nel mentre passano ripetutamente da un?impresa a un?altra tutta diversa, a suon di contratti di breve durata, giungono ad accumulare saperi tecnologici e competenze organizzative in misura e qualit? tali da essere in genere difficilmente accessibili a chi lavora per lustri o decenni entro una medesima organizzazione. |