12/12/2005 ore: 11:15

"Personaggi" L'accusa a Consorte nel clan dei furbetti

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    giovedì 8 dicembre 2005
      Pagina 1/15 - Economia
        Il Personaggio

        L'accusa a Consorte nel clan dei furbetti
          A sinistra crescono i dubbi sull´operazione-Bnl di Consorte e sui suoi rapporti con i "furbetti del quartierino"
          E ora "Giovanni il bonapartista" finisce sotto accusa anche nei Ds

          Alberto Statera
            GIOVANNI Consorte è un abruzzese terragno e animoso, detesta le "vezzose eleganze", i pallidi epigoni dei declinanti "poteri forti", che vede personificati in Diego Della Valle e in quelli come lui. State certi, perciò, che non accetterà di arrendersi come von Paulus, capo dell´armata hitleriana all´assedio Stalingrado, città simbolo dell´ Unipol, che in quella via ha sede a Bologna. Farà argine con rude determinazione, come ha visto fare ormai da mesi ad Antonio Fazio, la sua sponda più autorevole nel tentativo di ridisegnare i confini del capitalismo italiano senza Cuccia.

            Ma il suo sogno di potenza rischia ormai d´infrangersi sugli scogli delle Procure della Repubblica. Un sogno non solo banalmente di potere, semmai di potenza, in un´accezione più ampia, non ignobile, non solo personalistica.

            La "magnifica preda" bancaria di Consorte, che non è proprio un gioiellino, nacque nel 1913 per iniziativa di Francesco Saverio Nitti e Giovanni Giolitti come Istituto Nazionale di Credito per la Cooperazione, con lo scopo di favorire lo sviluppo delle cooperative. Maffeo Panteleoni la definì «la banca del bolscevismo». E Mussolini nel 1927 ne fece la Banca Nazionale del Lavoro per sostenere le corporazioni fasciste. Quale oggetto migliore per conquistare un posto centrale nel declinante capitalismo italiano se non la banca «ex bolscevica» ed «ex fascista» della prima metà del secolo scorso, alla vigilia di un cambio di maggioranza politica nel paese? Il luogo perfetto dove affermare la fine congiunta della favola del capitalismo sano, quello tenuto insieme per decenni da Enrico Cuccia, e dell´oleografia ottocentesca alla Pellizza da Volpedo, il Quarto Stato, il proletariato marciante verso magnifiche sorti e progressive.

            Già da anni l´ambizioso chietino naturalizzato a Bologna che, giovanissimo, prima di trasferirsi a via Stalingrado, lavorò da ingegnere chimico nella Montedison di un mastino come Mario Schimberni, ha dismesso le abitudini "preistoriche" del mondo della cooperazione, secondo la definizione di Pierluigi Bersani, ministro di D´Alema all´epoca della scalata alla Telecom della "razza padana" riunita intorno al discusso finanziere bresciano Emilio "Chicco" Gnutti. La "finanza rossa", per decenni schiacciata tra quella bianca e quella laica, ora non c´è più, i vecchi dinosauri comunisti hanno lasciato il campo alla modernità e anche a tutti i magheggi e i compromessi che la modernità comporta.
            La mutazione genetica si deve a Consorte. Arriva alla guida dell´ Unipol all´inizio degli anni Novanta. Cuccia aveva preso la compagnia sotto la sua ala, ma i conti erano un disastro: 800 miliardi di lire di debiti, 100 miliardi di perdite, un bagno di sangue per molte cooperative socie. Dopo la quotazione in Borsa, le Generali lasciano fare e Consorte si lancia in una campagna di acquisizioni, spesso spericolata: dal gigante triestino, pressato dall´Antitrust, prende per 227 miliardi di lire la Bnl Vita, che attraverso gli sportelli bancari distribuisce le sue polizze. Poi la Winterthur per 1,3 miliardi di euro, una cifra che gli analisti considerano stratosferica. Ma oggi l´Unipol, con qualcosa come 10 miliardi di premi, è il terzo gruppo assicurativo italiano. Cresce la compagnia, crescono gli utili e crescono le ambizioni di grandeur di Consorte che, dopo la scalata Telecom, si getta nel gorgo della finanza creativa e, per definizione, spregiudicata.

            Come glielo abbiano permesso gli ambienti più tradizionalisti della cooperazione è facile intuire andando a vedere, con qualche masochismo, l´intreccio di scatole cinesi che controlla la compagnia. Una costruzione societaria che è stata definita "gotica", il cui risultato è che Unipol controlla Unipol. E su Consorte comanda soltanto Consorte. Una totale autoreferenzialità del potere che fa temere a Lanfranco Turci, senatore diessino e vecchio dirigente cooperativo un crescente "bonapartismo manageriale", una satrapia personale su tutto il mondo delle cooperative.

            Spazzata via quella che una volta si chiamava la "matrice ideologica", con la politica più debole, con la trasversalità assurta per molti a valore positivo, l´uomo di via Stalingrado non ha avuto più limiti nella rete di alleanze. Tremonti? Bisogna ringraziarlo «al punto giusto», perché il governo lo ha aiutato. I nuovi finanzieri d´assalto, i furbetti del quartierino, Gnutti, Fiorani, Billè, la Fininvest, che figurava a suo tempo nel patto per Telecom, Fazio, gli affaristi formigoniani della Compagnia delle Opere. L´uno vale l´altro, "business is business". Con la durezza e il cinismo che il nuovo capitalismo richiede, ora che non c´è più Cuccia a decidere chi non è gradito, chi va buttato fuori.

            «Come delle belve», nella Bnl bisognerà lavorare come delle belve, diceva Consorte a Gnutti che lo rimproverava: «Il problema, Gianni, è che con questa operazione stai dissanguando tutti». Persino il governatore, che alla "bicamerale" degli affari credeva, che le due operazioni parallele Antonveneta e Bnl sponsorizzava con poco ritegno, quando Consorte andò a parlargli dei dettagli del piano, chiese: «Ma voi i soldi li avete?». La stessa domanda che pochi giorni dopo a palazzo Chigi ripeté Gianni Letta.

            Che succederà adesso che Consorte è stato iscritto d´ufficio dalle Procure tra i furbetti del quartierino? E che, capo di una grande società quotata, rivendica incredibilmente il diritto ad avere un conto corrente fiduciario - udite, udite - per «non apparire, per problemi ragioni di riservatezza»? Adesso si profilano quelle «fattispecie illegali», che pure andranno provate, di cui Piero Fassino sottolineava l´assenza l´estate scorsa, quando infuriava la polemica sull´intreccio tra affari e politica. La fronda interna alle cooperative, non gli emiliani di Pierluigi Bersani, ma quelli del Nordovest e del Centro che chiedevano «perché ci mischiamo con gente del genere?» non ha gridato troppo finora per carità di patria. Ma Turiddo Campaini, grande capo di Unicoop Tirreno non è tanto accomodante. E i senesi del Monte dei Paschi, che fin dall´inizio avevano detto che l´operazione di Consorte era sballata perché se no l´avrebbero fatta loro, non potranno resistere alla tentazione di dire «avevamo ragione». Anche perché - lo ha scandito Franco Bassanini - «non si rastrellano azioni con operazioni poco trasparenti che danneggiano i piccoli azionisti e fanno guadagnare i soliti noti». Soprattutto se a scalare è il sistema delle cooperative i cui mezzi - come scrisse Giuliano Amato su Repubblica nell´agosto scorso - possono essere usati per scopi migliori che la scalata a una banca.
              Giovanni Consorte, confermando inavvertitamente ciò che ha sempre cercato di negare e cioè di muoversi al confine tra politica e affari, assediato dalle Procure, sarà adesso sempre più convinto, di aver avuto «la sfortuna di fare l´operazione Bnl in un momento di tensione politica», mentre tutti alzano le proprie trincee per le elezioni di primavera. E siccome di politica se ne intende, sa anche, come disse in un´intervista di settembre, che in caso di insuccesso, «non sarà l´appartenenza politica a salvare né me né il vicepresidente».

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