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«Pensioni, la riforma è una scelta obbligata»

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25 Settembre 2003

OGGI PRIMO CONFRONTO GOVERNO-SINDACATI, ARIA DI ROTTURA

«Pensioni, la riforma è una scelta obbligata
Ce la chiede l’Europa»
Berlusconi: bisogna intervenire ma vogliamo mantenere la pace sociale
Maroni conferma che le misure non saranno inserite nella Finanziaria
Pezzotta all’attacco: i lavoratori sono pronti a tre mesi di mobilitazioni

Roberto Giovannini

ROMA
Il presidente del Consiglio, da New York, sembra non avere dubbi: la riforma delle pensioni «è una scelta obbligata», «perché ce lo chiede l’Europa», e anche per l’ottima ragione che se ci sarà un «intervento strutturale» si potrà evitare il rischio di declassamento dei titoli pubblici italiani da parte delle società di rating. L’annunciato sciopero generale dei sindacati per il premier è da mettere in conto come fisiologico, anche se ieri il leader della Cisl Savino Pezzotta si è detto pronto a tre mesi di mobilitazione. Dunque, l’incontro di oggi sulle pensioni a Palazzo Chigi tra governo e parti sociali sembra aprire la strada a una rottura. E il Consiglio dei ministri - convocato ufficialmente per lunedì - la sancirà, approvando contestualmente la Finanziaria 2004, il decretone fiscale e gli emendamenti sulla previdenza che finiranno nella delega Maroni.
Per Berlusconi quella del governo è una strada obbligata, tenendo conto che la riforma che innalzerà dal 2008 i requisiti per la pensione di anzianità a 40 anni di contribuzione è inevitabile per avere il «sì» di Bruxelles a una manovra con molti punti interrogativi e tante «una tantum» e sanatorie. Tuttavia, «non possiamo toccare le pensioni al di là di quello che stiamo immaginando di fare, perché avremmo una caduta della pace sociale», spiega il premier. Quindi, visto che per Confindustria la riforma è troppo debole, e per i sindacati le pensioni non si devono toccare, «noi - prosegue - siamo in mezzo, criticati da una parte e dall'altra. Ma “in media stat virtus”». E la minaccia di sciopero generale? «Fa parte del mestiere dei sindacati - conclude Berlusconi - e spero che non andrà al di là di una presa di posizione quasi dovuta. I sindacati faranno quello che forse hanno già deciso di fare ma anche il governo ha un suo compito: fare le cose per il bene di tutti, per il bene del paese».
Parole che sembrano lasciare poco spazio a possibili mediazioni, almeno in questa fase. Ma per una soluzione diversa e di mediazione continua a lavorare il ministro delle politiche agricole Gianni Alemanno (An), secondo cui «il conflitto sociale va evitato a tutti i costi, perché avrebbe un costo alto», e quindi al negoziato di oggi «occorre andare con le carte aperte e con una reale disponibilità discutere. Speriamo non sia troppo tardi». Roberto Maroni, ministro del Welfare, ribadisce nel corso del «question time» a Montecitorio che la riforma delle pensioni verrà fatta nella delega e non in Finanziaria». Per Maroni, «il dialogo con le parti sociali porterà a un provvedimento non punitivo», poiché «l'intenzione del governo non è quella di penalizzare i lavoratori, ma di correggere la normativa senza stravolgerla».
Per i sindacati, però, l’intervento sulle pensioni di anzianità - anche se dal 2008 - è un intervento che rappresenta una penalizzazione inaccettabile per circa 9 milioni di lavoratori. Tanti sarebbero infatti gli interessati dal giro di vite che scatterà a partire dal 2008, quando per andare in pensione anticipata serviranno improvvisamente almeno 40 anni di contributi. Se questa sarà la proposta, chiarisce il numero uno della Cisl Savino Pezzotta, «non siamo disposti a manifestazioni “una tantum”: il sindacato è pronto alla mobilitazione di tre mesi con tutti gli strumenti che ha a disposizione, a cominciare dalla manifestazione prevista per il 4 ottobre a Roma che dovrà diventare l'occasione per dare un segnale forte di come la pensano i lavoratori». Pezzotta dice che «parlando di sciopero, ne abbiamo pronti 50 tipi, tra cui quello generale», che sarà discusso unitariamente, e critica il metodo - assai lontano dalla concertazione cara al sindacato di Via Po - seguito dal governo.
Rincara la dose il leader della Cgil Guglielmo Epifani: «Se il governo va avanti per forza - afferma - ci sarà bisogno di una mobilitazione la più unitaria possibile e la più estesa». Anche lo sciopero generale? «Ne discuteremo unitariamente», replica Epifani, che però minaccia: «non ci fermeremo al primo sciopero generale». Perché «non c’è un’emergenza finanziaria legata alle pensioni - conclude - ma un governo che ha portato il paese allo sfascio delle finanze e come tale ha bisogno, per cautelarsi con Bruxelles, di intervenire sulle pensioni». Infine, per il segretario generale della Uil Luigi Angeletti, «la pace sociale è anche il nostro desiderio. ma ora è solo nelle mani del governo».
Se oggi sarà consacrata la rottura tra governo e sindacati, la prima occasione per mettere alla prova la tenuta dell’Esecutivo e della maggioranza sarà la manifestazione nazionale in programma a Roma per il 4 ottobre dalla Confederazione Europea dei Sindacati per la difesa dello stato sociale europeo, che ovviamente cambierà «segno» politico. Seguirà poi lo sciopero, da proclamare intorno al 20 ottobre, tenendo conto delle regole e delle leggi. Difficilmente il «primo colpo» sarà un’astensione dal lavoro totale, più probabile - seguendo un po’ lo schema utilizzato da Cgil-Cisl-Uil nel 1994 - uno sciopero generale di otto ore articolato per regione. Se lo scontro si dovesse inasprire, arriverà prima lo sciopero generale di 24 ore, e se del caso anche la maxi-manifestazione nazionale.

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