7/9/2006 ore: 11:30
"Pensioni" Innalziamo il limite almeno a 59,5 anni (T.Treu)
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Pagina 5 - Risiko FINANZIARIA 3. Innalziamo il limite almeno a 59,5 anni Presidente della commissione Lavoro e Previdenza sociale del Senato L’allarme ? ingiustificato perch? non si tratta di inventare una nuova riforma che rimetta tutto in discussione. La riforma, vera, ? stata fatta nel 1995 con la legge Dini: occorre solo applicarla e aggiornarla tenendo conto dei cambiamenti intervenuti nella demografia in particolare dell’allungamento della vita, e nel mondo del lavoro. Questo hanno ribadito i leader del centrosinistra, da Prodi a Rutelli e Fassino, precisando che la soluzione va trovata dopo adeguata discussione con le parti sociali, in particolare il sindacato. C’? tutto il tempo di discutere con pacatezza in questo mese di settembre e di arrivare a risultati concordati come si fece nel 1995 (non invece con le misure dello scorso governo). I tavoli con il sindacato si sono appena avviati a palazzo Chigi. L’elemento centrale da considerare consiste nel fatto che dal 1995 ad oggi si ? verificato un allungamento delle aspettative di vita degli italiani di 2 anni e mezzo: pi? accentuate di quanto previsto e fra i maggiori paesi occidentali. Questo fatto ? decisivo per tutte le decisioni politiche: da quelle della sanit?, a quelle del lavoro, che devono promuovere una vecchiaia attiva, per il bene sia dell’economia sia delle persone e non espellere i 50 enni dall’attivit? lavorativa. Tanto meno pu? ignorarli il sistema delle pensioni. Per mantenerlo in equilibrio, cio? per non gravarlo di oneri maggiori degli attuali, occorre che anche la vita lavorativa si prolunghi almeno dello stesso periodo, 2 anni e mezzo: cio?, semplificando, dall’attuale et? minima pensionabile di 57 anni almeno a un minimo di 59,5. Questa ? la logica della riforma del 1995 che prevede di rivedere i parametri pensionistici dopo 10 anni (il passato governo non l’ha fatto come doveva nel 2005) tenendo conto in particolare del cambiamento delle aspettative di vita. A questa logica fa riferimento anche il programma di governo; se lo si vuole leggere bene e non forzarlo, come fa una parte della sinistra. La differenza con la legge del passato governo, ? che noi riteniamo sbagliato stabilire una soglia rigida al pensionamento, lo scalone a 60 anni; vogliamo alzare l’et? di pensionamento in modo volontario e flessibile, con incentivi e disincentivi. Volontariet? e flessibilit? lasciano i singoli liberi di scegliere secondo le loro condizioni di vita e di lavoro, come ha spiegato Prodi alla festa della Margherita. Per alcuni ? importante mantenere la possibilit? di pensionarsi agli attuali 57 anni, perch? intendono dedicarsi ad altre attivit? oppure perch? hanno lavori pesanti (anche la legge del 1995 prevedeva condizioni di favore per i lavori usuranti, e questa indicazione si pu? riprendere). Per altri soggetti invece pu? essere accettabile, o anzi auspicabile, lavorare oltre i 60 anni, a seconda appunto delle proprie condizioni di vita e di lavoro (i lavori pesanti sono sempre meno nella societ? dei servizi). Un’altra possibilit? ? permettere un pensionamento “progressivo” con forme di part time misto a lavoro: sono diffuse in altri paesi e anche da noi devono essere regolate bene. L’importante ? che queste scelte siano rese possibili concretamente: anche da parte delle imprese che devono cambiare le prassi attuali che tendono a espellere prematuramente i cinquantenni. ? un pregiudizio che questi non possano lavorare bene e apprendere nuovi lavori. Le modalit? per ottenere questi risultati (incentivi, disincentivi) sono da discutere con le parti sociali. Ma all’obiettivo nessuno si pu? sottrarre. Sarebbe fare ingiustizia per il futuro cio? per i giovani: per quelli che hanno 30 anni e che dovranno pagare per 2-3 decenni le pensioni degli attuali 57 enni. Dicono i demografi che nel 2050 gli ultra settantenni cresceranno di 6 milioni e mezzo, e quelli con meno di 60 anni caleranno di 10 milioni. Agli attuali pensionati, non si fa nessuna ingiustizia, perch? non si “taglia” la pensione; piuttosto si attua una specie di “indicizzazione” della fascia d’et? pensionabile alla longevit?. Chi continua a pensionarsi a 57 anni, avr? uno modesta riduzione della pensione perch? questa gli verr? pagata per pi? anni nel corso della vita (fortunatamente pi? lunga): chi vorr? lavorare oltre sar? incentivato a farlo ottenendo una pensione annuale pi? alta. Questa ? una soluzione equa perch? non penalizza i padri e fa giustizia ai figli. Naturalmente il tema pensioni presenta aspetti pi? ampi di quello dell’et?. Occorrer? predisporre un pacchetto di misure riguardanti altri punti, alcuni lasciati aperti dalla legge Dini: sostenere con contributi figurativi, per i periodi di inattivit?, i lavoratori precari; provocare un decollo pi? rapido, possibilmente gi? dal 2007, delle pensioni complementari, anche qui specie a favore dei giovani; riconoscere ai fini pensionistici i periodi di maternit? per le donne ( ? importante anche in vista della parificazione dell’et? pensionabile fra uomini e donne richiesta dalla Corte di Giustizia europea); avvicinare i contributi dei lavoratori parasubordinati (co.co.co e simili) a quelli dei lavoratori subordinati, per assicurare ai primi tutele e pensioni dignitosi, abolire le residue pensioni privilegiate; migliorare il sistema di indicizzazione delle pensioni, a cominciare da quelle basse. Queste sono misure positive che costano ma che rispondono a bisogni urgenti dei lavoratori, giovani e anziani. La loro attivazione pu? facilitare una soluzione utile, uno scambio virtuoso, sul punto difficile del prolungamento dell’et? pensionabile. Ma solo se si contiene la spesa per pensioni agendo sull’et? avremo risorse per soddisfare questi bisogni. Quanto prima si decide meglio ?: se non si pu? fare tutto nella legge Finanziaria, almeno alcune misure essenziali sarebbe bene inserirle, subito. |