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«Pace e diritti» Milano in piazza con la Cgil

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16 Marzo 2003


 
«Pace e diritti» Milano in piazza con la Cgil
Tre cortei, 700 mila persone d'ogni età. Maschere bianche contro la guerra e pettorine double-face: davanti l'articolo 11 della Costituzione, dietro il «sì» al referendum. Epifani: «Alle prime bombe il paese si fermerà»
MANUELA CARTOSIO

MILANO
Sanno che la guerra che fin qui sono riusciti a rallentare ormai è vicina. Un ragione in più per non rimanere a casa, per partecipare a quella che probabilmente è stata l'ultima grande manifestazione prima che Bush dia il via alla danza macabra. Erano 700 mila ieri a Milano alla manifestazione nazionale della Cgil per «pace e diritti», preoccupati ma non depressi, consapevoli che la somma dei loro no alla guerra questa volta non è solo testimonianza, è la novità politica con cui i potenti della terra che teorizzano e praticano la guerra preventiva dovranno comunque fare i conti. La Cgil ha scelto di stare con la sua forza e il suo peso dentro questa novità politica. Le parole con cui Guglielmo Epifani ha chiuso la manifestazione sono state, prima e più che un avvertimento a Berlusconi, un'assunzione di responsabilità: «Il governo deve sapere che alle prime bombe il paese si fermerà e i lavoratori, unitariamente, esprimeranno in questo modo il netto rifiuto della guerra». Tre cortei arcobaleno, partiti da tre grandi piazze (Duomo, Loreto, Cadorna), hanno fatto rotta verso la Stazione centrale, hanno riempito piazza Duca d'Aosta e tutte le vie circostanti fino ai bastioni. Hanno mescolato dialetti, età, professioni e la pace con i diritti del lavoro e di cittadinaza (tema origianario della manifestazione messa in cantiere lo scorso novembre). C'erano migliaia di maschere bianche ai cortei, distribuite dalla Filcams e da Nidil. Sono state «interpretate» dai manifestanti come metafora sia del lavoro invisibile e senza diritti sia delle vittime senza volto e senza nome della guerra. «La pace viene prima di tutto, non ci sentiamo messi nell'angolo se la manifestazione ha preso un'altra piega», dice un Co.co.co del Nidil.

Nel corteo partito da piazza Duomo c'erano quelli venuti da lontano, con una notte di viaggio sulle spalle. Baldassarre Castaldo viene da Napoli, dice che Bush la sua guerra la farà, «se si ferma, teme di perdere la reputazione». Ha 85 anni e ha fatto sei anni di guerra Matteo Vocino, da San Nicandro Garganico. «Sono qui per difendere l'umanità e combattere quella specie di uomini che ancora vogliono fare la guerra». Sul giovane Bush nonno Matteo è ben informato: «Quello si è fatto eleggere per modo di dire e ha preso i soldi da due ditte che poi sono fallite». Di Berlusconi quasi non merita parlare, «fa le due facce, è falso». In effetti, più che dell'irrilevante Silvio i manifestanti parlavano della pacifista Veronica, «hai letto l'intervista?». Era rivolto a Veronica il cartello della signora Liliana, di Reggio Emilia: «Non fidarti di lui, fidati di noi». L'unica guerra che piace a quelli della Funzione pubblica di Cremona, che sfilano con la foto di un bambino che fa smac smac, è «la guerra dei baci». Una seriosa ambientalista sul suo cartello ha scritto che per avere pace nel mondo dobbiamo ridurre i nostri consumi di energia. E ha ragione, visto che le guerre l'Occidente ricco le fa perchè non ritiene «negoziabili» i suoi standard di vita. Monica con il suo ombrello arcobaleno che invita a spezzare la spirale terrorismo-guerra le manifestazioni le ha fatte tutte, «pure il digiuno del papa ho fatto, io che con la chiesa cattolica non vado d'accordo». Tutto inutile? «Cerco di non crederci; comunque, più siamo a mettere i bastoni tra le ruote della guerra, meglio è».

Ci sono i partiti del centro sinistra, c'è Rifondazione, ci sono centinaia di associazioni grandi e piccole, ci sono molti sindaci. Quello di Sesto San Giovanni, Giorgio Oldrini, ha «regalato» la bandiera della pace a tutte le scuole, ha persino distribuito i volantini contro una guerra «particolarmente sporca e arrogante». Il comitato per il sì al referendum per l'estensione dell'articolo 18 ha fatto le cose decisamente in grande. Un magalenzuolo, 30 metri x 7, con i colori della pace solcati da un grande sì all'art.18. Una marea di pettorali gialli di Lavoro e società citano su un lato l'articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra, sull'altro dicono sì al referendum. Sull'argomento Epifani ha sorvolato. Ha attaccato il ministro Maroni che con il referendum vorrebbe «chiudere definitivamente» il capitolo articolo 18. Ma su cosa farà la Cgil il 15 giugno, e prima, è rimasto nel vago: «Sulla difesa dell'articolo 18 e sull'estensione delle tutele i lavoratori italiani non torneranno indietro».

Prima del comizio di Epifani, i megaschermi hanno proposto una carrellata di brevi interviste ai manifestanti. Notevole il portuale di Livorno: «Gli ultimi giorni ci hanno visto proprio incazzati». Una signora sfodera un evergreen: «Invito tutti a fare l'amore, non la guerra». Sobrio ma a tutto raggio l'intervento di Epifani. Parte dal 23 marzo dell'anno scorso a Roma e riassume il percorso della Cgil. Qualche apertura verso Cisl e Uil, ma nessuno sconto a un governo «reazionario, classista, iniquo, centralista, poco rispettoso dell'ambiente e della sicurezza nei luoghi di lavoro». Chiede un incontro al ministro Maroni e «se non ci riceve, cari amici della Cisl e della Uil, non potremo stare fermi, se no restiamo forze che non incidono». Affonda il colpo sulla «scandalosa» Bossi-Fini. Ma i 700 mila sono lì sotto il palco perché la guerra è alle porte. Epifani lo sa e al tema dedica più della metà del suo discorso. «Siamo in piazza contro un conflitto che non ha alcuna ragione etica, giuridica, o politica che lo giustifica». Il governo italiano ha una sola strada da percorrere: chiamarsi fuori. Berlusconi, invece, prima ha schierato l'Italia dalla parte di Bush, ora tiene i piedi in due staffe. Così il governo «si condanna a essere minoranza» in un paese che, tutto lo dimostra, questa guerra non la vuole. La Cgil «alza la voce per dire no alla guerra, no all'avventura, no a chi pensa che la democrazia e la pace si costruiscono con le armi e con la forza del più forte».


 



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