10/5/2002 ore: 10:31
"Opinioni" Tutti i rischi del lavoro flessibile - di U. Beck
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Tutti i rischi del lavoro flessibile ULRICH BECK CHI promette di possedere una ricetta per la piena occupazione non dice la verità. Certo, nella società del lavoro retribuito non manca il lavoro retribuito. Ma si può dire che siamo ormai alla fine della società della piena occupazione nel senso classico, iscritto come principio politico fondamentale, in particolare dopo la seconda guerra mondiale, nelle costituzioni delle società europee e della Ocse. Piena occupazione significava un lavoro normale, nel quale si impara un mestiere che si svolgerà - forse con qualche cambiamento - per tutta la vita; un´attività che garantisce le basi dell´esistenza materiale. Oggi, invece, abbiamo a che fare con uno sviluppo del tutto differente, perché la tecnologia informatica ha rivoluzionato la forma classica del lavoro. Di conseguenza, il lavoro viene flessibilizzato. Viene spezzettato nella sua dimensione spaziale, temporale e contrattuale; così c´è sempre più lavoro apparentemente autonomo, da 230 euro al mese, limitato nel tempo, senza contratto; lavoro nella zona grigia tra occupazione informale e disoccupazione. Del resto, è così anche per i lavori e i redditi altamente qualificati. Il principio finora valido, secondo il quale ogni occupazione può contare su una relativa sicurezza e consente di fare progetti a lungo termine, appartiene al passato. Anche al centro della società del reddito si è affermato il regime del rischio. | |
Ormai ovunque si chiede a gran voce la flessibilità. In altri termini: un datore di lavoro dovrebbe potersi sbarazzare più facilmente dei suoi lavoratori. Flessibilità significa anche addossare ai singoli i rischi dello stato e dell´economia. I lavori disponibili sono quelli di breve durata e facilmente disdicibili, cioè "rinnovabili". Flessibilità significa, in ultima analisi: "Rallegrati, le tue conoscenze e le tua capacità sono invecchiate e nessuno può dirti quello che devi imparare perché ci sia bisogno di te in futuro!" E così siamo già al cuore del problema: si può anche apprezzare la "distruzione creativa dell´economia" (Schumpeter) - ma non quella dell´uomo! Anche per ottenere un guadagno statistico di due milioni di occupati sono prima scomparsi dieci milioni di vecchi posti di lavoro e ne sono nati dodici milioni di nuovi - magari distribuiti tra diverse nazioni. È evidente che, per dischiudere prospettive di vita alle persone, i governi sono costretti a favorire la cosiddetta produzione che vale di più, incompatibile con salari più alti. Ma il grado di automatizzazione di questa produzione è particolarmente elevato proprio a causa dei forti costi salariali. Ci impigliamo così in una singolare dialettica: quanto maggiore è il costo del lavoro, tanto più l´imprenditore ricorre alle macchine, e tante meno persone assume. E per questo egli è addirittura sostenuto dallo stato. Se l´imprenditore sostituisce i lavoratori con le macchine e l´energia, le tasse e i contributi sociali si azzerano. Se invece assume persone, viene penalizzato dagli oneri fiscali e previdenziali. Anche nel confronto internazionale nessuno ha una soluzione migliore degli altri. Qualunque strada abbiano imboccato i paesi che hanno ottenuto risultati più soddisfacenti della Germania, sulle questioni decisive sono tutti d´accordo. Sanno che il lavoro retribuito non è più quello che era una volta, che la sua importanza nella creazione di valore sta venendo meno. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna questa perdita di importanza significa retribuzioni orarie più basse in termini reali. In altri paesi, invece, significa riduzione delle opportunità di guadagno anche nei rapporti di lavoro sicuri. In quasi tutti i paesi dell´Ocse il lavoro retribuito rappresenta una parte sempre meno consistente del reddito nazionale. In termini di economia politica, il livello dei salari si abbassa e negli Usa rimane in qualche modo stabile solo perché gli americani sono costretti a lavorare sempre di più per gli stessi soldi. Ci troviamo di fronte al compito di organizzare il cammino verso il futuro in base a criteri non soltanto tecnici ed economici, ma anche umani. Come si connota una visione politica nella quale lo stato, i cittadini e il lavoro tornino a essere in armonia gli uni con gli altri? A questo riguardo vorrei proporre tre tesi: Primo: Molti hanno sempre identificato la modernizzazione con la privatizzazione, cioè con l´idea dello stato neoliberista. Eppure, dopo l´11 settembre la parola d´ordine del neoliberismo, sostituire la politica e lo stato con l´economia, ha perso rapidamente la sua forza persuasiva. Un esempio caratteristico in proposito è la privatizzazione della sicurezza aerea negli Usa. Questa funzione di sorveglianza importantissima per il sistema della sicurezza interna è stata assegnata a operatori part-time altamente flessibili. Il loro salario era addirittura più basso di quello dei lavoratori dei fast-food. È triste dover constatare che questa autocomprensione liberale dell´America – la spilorceria dello stato da una parte e la triade deregulation, liberalizzazione e privatizzazione dall´altra – ha purtroppo reso il paese vulnerabile agli attacchi terroristici. In questo senso, le immagini terrificanti di New York contengono un messaggio che è stato decifrato anche negli Stati Uniti: un paese può neoliberalizzarsi fino alla morte. Infatti, nel frattempo la sicurezza nei voli è stata coerentemente statalizzata, riorganizzata in servizio pubblico. Non soltanto in America, ma anche in Europa sarà reclamato a voce sempre più alta un ritorno dello stato. Soprattutto in Gran Bretagna, dove la privatizzazione delle ferrovie si è risolta in un disastro. Poiché queste esperienze dimostrano chiaramente che privatizzazione e modernizzazione possono essere in contrasto, è quanto mai importante riscoprire lo stato capace di prendere iniziative, in modo da rendere possibile una nuova definizione del lavoro – cioè delle attività pubbliche, di comune utilità, collocate sia all´interno che all´esterno del settore statale. Chi vuole eliminare la disoccupazione di massa – lo di mostrano i raffronti internazionali – deve anzitutto intervenire sugli strati più bassi della gerarchia sociale. Secondo l´abicì del neoliberismo, se la caduta dei prezzi del lavoro poco qualificato si accompagna all´abbassamento dei redditi da lavoro, la disoccupazione di massa può essere rapidamente abbattuta e di conseguenza le economie fioriscono. Applicato a quella nicchia del benessere mondiale che è la Germania, questo significa che il capitalismo selvaggio divora i sistemi di regole dell´autonomia tariffaria e dello stato sociale, fa crollare gli standard di potere e di vita e mette così in pericolo i fondamenti della libertà. Secondo: Pertanto, in futuro dovremo affrontare il contrasto "libertà o capitalismo". Un capovolgimento storico-ironico del vecchio slogan elettorale conservatore "Libertà anziché socialismo". Di fronte ai rischi che al giorno d´oggi corrono i posti di lavoro, lo stato che ha iniziativa deve raccogliere la sfida di riconiugare l´uguaglianza con la libertà. L´articolo 1 della Costituzione tedesca recita, tra l´altro: "La dignità della persona che lavora è inviolabile." Perciò non può dirsi moderna nessuna politica che spalanca le porte al dumping lavorativo, retributivo, sociale e ambientale. Una risposta a questa sfida potrebbe consistere nel riportare entro un quadro legislativo ben chiaro le fonti dell´occupazione a breve termine e malpagata, cioè precaria - dalle quali proviene ormai quasi la metà dei lavori in America -. E nello stesso tempo rendere calcolabili i rischi che questa precarietà comporta per le persone mediante una politica sociale di garanzia delle sicurezze fondamentali (assistenza pensionistica e sanitaria indipendente dal reddito, cioè finanziata con le tasse). Una seconda risposta potrebbe essere quest´altra: innalzare economicamente le attività poco qualificate e le prestazioni lavorative generiche applicando salari componibili sovvenzionati dallo stato. In questo modo il lavoro in grande stile assumerebbe un aspetto attraente per tutti – le imprese e i lavoratori - . Gerhard Schroeder sperava che il calo delle nascite avrebbe comportato un abbassamento della disoccupazione. Si sbagliava: il calo demografico effettivamente avvenuto non ci ha tratto d´impaccio. Terzo: Al contrario, sussistono argomenti inoppugnabili a favore dell´immigrazione. Essa è un antidoto all´incombente invecchiamento della società, che impaurisce gli investitori. Che la fase di crescita auspicata da ogni parte sia possibile solo grazie all´apertura dei confini, a una immigrazione programmata e al ringiovanimento della popolazione è di un´evidenza elementare. Chi vuole evitare l´eccessivo invecchiamento, l´esplosione dei costi, il crollo del sistema previdenziale e l´emigrazione non può che battersi per l´apertura dei confini. Uno dei temi delle campagne elettorali europee sarà dunque l´interpretazione dello stato attivo: come stato sorvegliante o come stato aperto al mondo. Dopo l´esperienza terroristica dell´11 settembre gli stati sorveglianti rischiano di trasformarsi in stati-fortezza, dove le parole "sicurezza" e "militare" sono scritte in grande e le parole "libertà" e "democrazia" sono scritte in piccolo. È perciò molto probabile che in Germania il candidato della Cdu Stoiber, come Berlusconi, si batterà in questo senso per una fortezza europea contro l´"altro" culturale. Potrebbe così prendere forma una politica di autoritarismo statale che all´esterno ha un orientamento adattivo rispetto ai mercati mondiali mentre, all´interno, assume una fisionomia appunto autoritaria. Il neoliberismo risulta conveniente per i vincitori della globalizzazione, ma per i perdenti della globalizzazione attizza le paure del terrorismo e degli stranieri e somministra a piccole dosi il veleno del razzismo. Alla fine tutto questo equivarrebbe a una vittoria del terrorismo, perché così i paesi europei si priverebbero da sé di ciò che li rende attraenti e superiori: la libertà e la democrazia. (Traduzione di Carlo Sandrelli) |