"Opinioni" Decontribuzione, passo obbligato - di Giuliano Cazzola

Decontribuzione, passo obbligato |
di Giuliano Cazzola È di nuovo riemerso il fiume carsico delle critiche al progetto di parziale decontribuzione, a favore dei nuovi assunti, contenuto nel disegno di legge delega in materia previdenziale. Il provvedimento è accusato di provocare una situazione di forte difficoltà ai regimi pensionistici obbligatori, in conseguenza della perdita di gettito contributivo che il taglio dell'aliquota necessariamente comporta, non compensato (lo ha chiarito, in modo trasparente, la stessa relazione tecnica predisposta dal Governo) dalle ulteriori disposizioni, in materia di maggiori entrate e di minori spese. È il caso, allora, di dare un contributo alla chiarezza. Va da sé che una misura di riduzione del prelievo è destinata necessariamente a provocare introiti più ridotti, crescenti nel tempo (dei relativi oneri è prevista la copertura in sede di legge finanziaria). È altrettanto vero, tuttavia, che un intervento di decontribuzione è un passepartout obbligato a fronte di un disegno di smobilizzo generalizzato del Tfr, allo scopo di potenziare il finanziamento della previdenza privata a capitalizzazione. Ciò per molte valide ragioni. Non si andrebbe da nessuna parte, infatti, limitandosi ad aggiungere risorse a risorse; se a fianco di una previdenza obbligatoria di per sé gravosa (che assorbe circa un terzo della retribuzione), si desse vita ad una previdenza privata altrettanto onerosa (devolvendo il 7%, riferito al Tfr, insieme alle quote di salario a carico delle parti). Le giovani generazioni sono certamente condannate a compiere il doppio sforzo di pensare contemporaneamente alle precedenti e a se stesse. Ma devono poterlo fare nelle condizioni meno costose possibili. Rispetto a tale passaggio obbligato, tutte le proposte più serie e realistiche di opting out (finalizzate alla costruzione di un sistema misto, con una quota a ripartizione e una a capitalizzazione) hanno preso in esame un'ipotesi di riduzione dell'aliquota legale. E, di conseguenza, hanno messo in conto, per un certo numero di anni, un incremento del deficit pensionistico, per effetto della diminuzione delle entrate chiamate a finanziare le pensioni vigenti. A questo proposito, va detto che - anche a voler trascurare le possibilità di recupero provenienti da un auspicabile aumento dell'occupazione - il disavanzo previsto per effetto della decontribuzione, di cui alla delega, è assai modesto (0,5-0,6% del Pil a regime). Infine, non vanno sottovalutati i problemi posti dal mondo dell'impresa: nessuno è disposto a privarsi, gratis, di 13 miliardi all'anno di autofinanziamento - a tanto ammonta l'accantonamento di Tfr - senza chiedere in cambio qualche misura compensativa. Così, la catena logica dell'operazione è presto tracciata: senza la decontribuzione non avrebbe senso economico lo smobilizzo del Tfr. E, quindi, verrebbe meno l'unico profilo di carattere strutturale della delega: quello rivolto a liberare dal tran tran i fondi pensione. Non si tratta, allora, di prendersela con gli effetti della decontribuzione, ma di criticare, magari, i punti deboli del disegno di legge e sollecitarne un rafforzamento. Per ragioni di consenso politico (poi rivelatisi inutili) la delega è, purtroppo, poco rigorosa sul versante dei risparmi di spesa: proprio quelle misure che potrebbero compensare agevolmente una decontribuzione che rimane indispensabile. Ecco perché non sembrano condivisibili i frequenti attacchi a questa impostazione strategica del provvedimento. Sarebbe meglio insistere sugli altri versanti (a partire dall'innalzamento età effettiva del pensionamento), affinché il taglio di alcuni punti di aliquota - per una quota modesta di lavoratori - possa realizzarsi al riparo dei problemi. Giovedí 23 Maggio 2002
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