19/7/2006 ore: 11:09

"NuovaSchiavitù" Sotto casa lo zio Tom

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    mercoled? 19 luglio 2006

    Pagina 15 - Cronache


    Sotto casa la nuova
    capanna dello zio Tom

    analisi
    FRANCESCA PACI
      Si fa presto a dire Nepal, Sudan, Brasile. Come se la nuova schiavit? fosse un esotico frutto del sottosviluppo che cresce esclusivamente laggi?, nei paesi dove le condizioni economiche e culturali sono peggiori, espressione d’una violenza atavica ma lontanissima da noi almeno quanto quella abolita dal mondo occidentale nella seconda met? del XIX secolo. Come se l’Europa figlia dell’illuminismo e l’America delle libert? avessero cancellato dalla loro storia il giogo dell’uomo sull’uomo rendendolo un tab?. Invece, basta guardarsi un po’ intorno, agli angoli delle strade piantonate da baby prostitute o negli scantinati-laboratori stipati di lavoratori senza volto simili a quelli del capolavoro cinematografico di Friz Lang ?Metropolis?, per accorgersi che lo sfruttamento ? ancora qui, sotto casa.
        ?L’Italia ? uno dei principali snodi europei della schiavit? moderna, strettamente collegata all’immigrazione clandestina?, spiega lo studioso Kevin Bales, autore del volume ?I nuovi schiavi. La merce umana nell’economia globale? (Feltrinelli). Ricercatore al Roehampton Institute dell’Universit? del Surrey, in Gran Bretagna, e militante dell’associazione Antislavery International, Bales calcola ?almeno 200 mila vittime dello sfruttamento in Europa, di cui la maggior parte in Italia, e un traffico annuo di circa 50 mila persone alle frontiere degli Stati Uniti?. Braccia e schiene da soma provenienti soprattutto dai Paesi poveri, privi di risorse economiche ma anche spesso di governi democratici capaci di distinguere dentro i container tra mercanzie e uomini.
          L’ultimo rapporto dell’International Labour Organization delle Nazioni Unite stima 12 milioni e 300 mila schiavi in tutto il mondo, oltre l’80 per cento impiegati in Asia e nelll’area del Pacifico, 360 mila nelle nazioni maggiormente industrializzate.
            ?Tra i vari modelli di sfruttamento, in Europa prevale quello contrattualizzato?, scrive ancora Kevin Bales. Una distorsione del meccanismo domanda-offerta: ?Si offrono contratti di occupazione, ma quando il lavoratore arriva nel laboratorio o nella fabbrica scopre di essere schiavo. Il contratto ? un’esca, fornisce un velo di legittimit?.
              Storie come quelle dei braccianti agricoli al chiodo nelle campagne disertate dagli italiani, delle ragazze di Benin City costrette a vendersi sulla strada per riscattare il proprio corpo dato in pegno a mercanti senza scrupoli e incatenato dal voodoo, dei fantasmi cinesi arruolati nei sotterranei del distretto tessile di Prato motore di quell’industria dell’abbigliamento che in Europa muove un volume di affari da circa 70 miliardi di euro.
                Cos?, all’alba del nuovo promettente millennio, cibernetico e futuribile, il mondo si scopre impreparato davanti a un rebus antico quanto le sue origini.
                  Su scala globale esiste un Protocollo contro il traffico di uomini approvato nel 2000 dalle Nazioni Unite e sottoscritto da 148 nazioni: una piattaforma limitata per ora alla definizione del problema ma pur sempre un inizio. Di cosa parliamo quando parliamo di schiavi? ?Uomini obbligati a lavorare sotto minacce fisiche o psicologiche, privati della loro dignit?, fisicamente limitati?. In Italia la materia ? regolata da alcuni articoli del Codice penale: il 600 che sanziona la riduzione in schiavit?, il 601 che condanna il commercio delle persone e il 602 sull’alienazione e l’acquisto di manodopera ?umana?. Anche in questo caso poco pi? d’una formulazione generica da adattare day by day alla cronaca, la storia del presente. Perch? per liberare i nuovi schiavi bisogna prima di tutto vederli, riconoscerli, dar loro un nome accanto al numero di serie che li condanna alla trasparenza, invisibili seppure sotto casa.

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