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«Noi del call center, mai più a 3 euro l'ora»

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L'Eco di Bergamo

6 maggio 2004


    «Noi del call center, mai più a 3 euro l'ora»

    Parlano i centralinisti della struttura smantellata dalla Direzione del lavoro per irregolarità «Siamo studenti, per molti di noi è stato il primo impiego: non ci siamo resi conto di essere sfruttati»

    Da sinistra Laura Facchinetti, Ramon Lazzarini, Mariangela Monzani, Valentina Taramelli e Claudia Mapelli
    Hanno voluto raccontare la loro vicenda perché vogliono essere d'aiuto ai loro coetanei, magari studenti come loro. Perché non facciano come loro hanno fatto. Perché non accettino di essere sfruttati e sottopagati in cambio di piccole comodità.
    Fra i 41 centralinisti che fino al novembre scorso lavoravano per il call center Micro Form Italia, un servizio telefonico di prenotazione per sale cinematografiche che aveva sede in via Paglia e che la Direzione provinciale del lavoro ha denunciato per molteplici irregolarità nei rapporti con i collaboratori, ci sono anche loro, i cinque studenti che ieri, insieme a Roberto Rossi della Filcams Cgil – che ha seguito il loro caso – hanno deciso di rompere il silenzio e di rendere pubblica la loro esperienza. Non erano solo studenti, i collaboratori del call center. C'era anche gente che doveva mantenere una famiglia o pagare un affitto. Tutte persone che, per un motivo o per l'altro, sono finite ai margini del mercato del lavoro, dove il territorio dei diritti è sempre più sottile e l'illegalità diventa, purtroppo, un fatto quotidiano.
    «Sì, ci andava bene – hanno raccontato Laura Facchinetti, 19 anni, di Dalmine, Ramon Lazzarini, 24 anni, di San Pellegrino, Mariangela Monzani, 19 anni, di Osio Sotto, Valentina Taramelli, 21 anni, di Bergamo, Claudia Mapelli, 21 anni, di Bergamo –, ci andava bene prendere tre euro e 20 centesimi all'ora, ci andava bene che controllassero le telefonate che facevamo. Non era un "lager", tutt'altro, il clima era molto gioviale e noi avevamo molte libertà. Ci portavamo i libri per studiare quando non telefonava nessuno, potevamo cambiare i turni, scambiarli, fare tre o sei ore o più a seconda delle nostre esigenze e di quelle del call center. Per noi, molti alla prima esperienza lavorativa, era comunque una fonte di soddisfazione».
    Guadagno mensile? «Massimo 200 euro». Non era un lavoro che permetteva molte prospettive. «E chi le ha al primo impiego? Per noi era più un riempitivo, un modo per arrotondare la paghetta settimanale. E poi ci avevano detto che la paga sarebbe aumentata, che intanto dovevano pagare l'affitto dei nuovi locali in cui era stato installato il call center. Bisognava pazientare ancora un po', dicevano». E voi? «E noi abbiamo pazientato». Non tutti, però, qualcuno ha deciso di lasciare la nave prima che crollasse tutto, ma è stata solo una minoranza, gli altri hanno tenuto duro fino alla fine, dal maggio 2002 fino al novembre dell'anno scorso, quando l'amministratore della società di telefonia, che era nata nel 2000 come azienda di servizi informatici, sparì nel nulla senza farsi più rintracciare nemmeno dai suoi più stretti collaboratori.
    Alla Cgil i ragazzi si sono rivolti quando l'«avventura» era già terminata e quando si sono accorti che i soldi dell'ultimo periodo trascorso al call center non sarebbero arrivati tanto facilmente. E prima? Prima non ne avevano motivo, perché il trattamento, pur concepito come ingiusto, veniva comunque accettato. E se tornaste indietro? «No, non accetteremmo mai più una situazione del genere. E invitiamo anche i nostri coetanei, studenti come noi, a non accettare degli accordi così ingiusti».
    «Mio padre mi diceva sempre che c'era qualcosa che non andava, che dovevo stare attenta, che non dovevo fidarmi. Forse eravamo troppo presi a guardare ciò che ci faceva più comodo e non ci siamo accorti che, nel frattempo, i nostri diritti venivano calpestati» commenta Mariangela Monzani. «Se mi proponessero un contratto di lavoro – spiega Laura Facchinetti – vista l'esperienza che ho vissuto, prima lo farei vedere a chi se ne intende»
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    Paolo Doni

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