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domenica 24 luglio 2005
Pagina 18 - STORIE
Si apre domani il Congresso della Afl-Cio. E' la finale tra Sweeney e Stern
Sindacato Usa Diventa tutto un Wal-Mart
Da Ford al supermarket Il «vecchio» leader Sweeney contro il rampante Stern. Il primo ha un concetto più classico di sindacato, il secondo punta a un modello «più leggero» e attento al mercato
VITTORIO LONGHI
Ciò che più colpisce del dibattito sul prossimo congresso della centrale sindacale americana Afl-Cio, da domani a Chicago, è il tono monocorde con cui i mezzi di informazione tendono a descrivere lo scontro tra il vecchio leader John Sweeney e il giovane dissidente «scissionista» Andrew Stern. Dal New York Times al Washington post, ai giornali europei, tutti sembrano d'accordo nel definire indiscutibilmente «innovativa» la trasformazione che Stern chiede all'Afl-Cio, insieme ad altre cinque sigle unite nella coalizione Change to win. A Sweeney, invece, tocca la parte del vecchio burocrate sindacale accentratore, legato a un sistema sorpassato, e responsabile del calo degli iscritti (dal 15% del 1995 al 13% attuale) nonché della perdita di potere delle union americane su governo e imprese. Le critiche di Stern, i suoi continui attacchi alla direzione e le minacce di divisione trovano consenso anche nella stampa progressista, infatti, con l'ovvia soddisfazione della destra al potere che non esita a calcare lo stereotipo, assai diffuso nella cultura anglosassone, del sindacato inefficace, quando non inutile o, peggio, corrotto e mafioso. «Farò il tifo per Andy Stern e per tutti gli altri leader che promettono l'uscita dall'Afl-Cio al congresso di questa settimana - ha scritto l'editorialista del Washington Post, Steven Pearlstein - La colpa del declino del sindacato è soprattutto di quei dirigenti che si sono preoccupati più di preservare il passato che di cogliere le opportunità del futuro». Secondo Pearlstein, è nell'interesse dei lavoratori avere «un movimento dinamico, più sensibile al mercato», visto che «un sindacato non è diverso da un'azienda» e gli iscritti vanno trattati come «clienti».
È questa, in sostanza, la visione che i dissidenti riformisti sembrano avere di una moderna organizzazione del lavoro. La loro proposta, avanzata un anno fa alla direzione dell'Afl-Cio, si basa sullo snellimento radicale dell'apparato centrale, su un maggiore spazio di contrattazione delle singole categorie, fino al livello delle singole imprese, contro il tentativo estendere la contrattazione collettiva che invece ha ispirato l'azione di Sweeney nei suoi dieci anni di presidenza.
«Siamo passati dall'economia della General motors a quella di Wal Mart - ha dichiarato Stern in un'intervista al mensile The Nation - e la coscienza della classe operaia che c'era nel secolo scorso oggi non esiste più, accade qui come nel resto del pianeta». Illustrando i punti del suo programma di rinnovamento, ha spiegato: «Noi insistiamo per sviluppare comitati aziendali più forti che abbiano reale autonomia e potere di contrattazione, senza dover seguire le linee dettate dalla centrale».
Altro grosso motivo di scontro con Sweeney è quello politico, sulla destinazione delle risorse raccolte dal sindacato: Stern vorrebbe un minore coinvolgimento con il partito democratico, di cui l'Afl-Cio è naturale cinghia di trasmissione nonché maggiore sostenitore economico e organizzativo, ma soprattutto chiede più fondi per il tesseramento alle federazioni. Il nodo cruciale della scissione, infatti, sembra essere proprio la restituzione di metà delle quote che le federazioni oggi versano alla centrale unitaria, quelle destinate alle campagne per le nuove iscrizioni.
Stern è forte anche del fatto di presiedere uno dei pochi sindacati che hanno accresciuto il numero delle adesioni negli ultimi anni, quello dei servizi, Service emplyees international union, lo stesso da cui veniva anche Sweeney. Il Seiu oggi conta il maggior numero di iscritti all'interno dell'Afl-Cio, circa duemilioni, e questo ha contribuito non poco a schierare anche le altre federazioni dalla parte di Stern: quella degli alimentari e del commercio United food and commercial workers, quella delle costruzioni Carpenters, uscita dalla centrale già da tempo, quella degli agricoltori United Farm Workers, quella dei tessili Unite here, e anche quella dei camionisti Teamsters presieduta da James Hoffa junior, figlio dell'omonimo sindacalista, che sostiene apertamente George Bush. Insieme, anche se distanti politicamente, le sei federazioni rappresentano circa cinque milioni di iscritti e la loro eventuale separazione dalla centrale, che complessivamente ne conta 13 milioni, sarebbe comunque un duro colpo per Sweeney, che continua a invocare l'unità e i rischi politici di una scissione. Ma Stern è determinato e, se la direzione non accetterà le sue proposte, è pronto a costituire già in autunno una nuova organizzazione. «Questo congresso era l'occasione per inaugurare la modernizzazione del sindacato - ha dichiarato ieri Stern - Invece i dirigenti dell'Afl-Cio hanno scelto di tornare indietro, a una struttura fatta di 57 sindacati che in molti casi si sovrappongono, hanno scelto di liquidare ogni proposta innovativa per non interferire con alcuni interessi consolidati e per garantire lo status quo».
Eppure, sotto la guida di Sweeney il sindacato ha fatto progressi importanti, anche se non ha raggiunto gli obiettivi che si era prefisso. La scelta, ad esempio, di avere al suo fianco, come vice-presidente, Linda Chavez-Thompson, dimostra un'apertura alla rappresentanza delle donne ispaniche sempre più presenti nell'organizzazione e una diversa sensibilità nei confronti dei migranti. Lo sforzo politico di mobilitare i lavoratori in favore di Gore prima, e Kerry dopo, ha comunque ottenuto risultati: «Sono fiero di ciò che abbiamo fatto in campo politico - ha detto Sweeney, sempre a The Nation - Nonostante la diminuzione di iscritti al sindacato, infatti, siamo stati capaci di portare ai nostri candidati quattro milioni di voti in più dal 1992 al 2004».
Con la vittoria dei democratici, il presidente dell'Afl-Cio in realtà sperava di acquisire un peso politico tale da riuscire a riformare la legge sulla rappresentanza sindacale, che ora impedisce alle organizzazioni che non raggiungono il 50% delle adesioni di essere riconosciute dalla legge, perciò non consente di associarsi e di contrattare liberamente. Nella frammentazione delle sigle che si contendono iscritti, spesso con pratiche al limite della legalità, Sweeney ha anche tentato di imporre piattaforme comuni di contrattazione, spingendo i vari sindacati a non accettare condizioni salariali e di lavoro inferiori a quelle stabilite dalla centrale. A livello locale, l'Afl-Cio ha avviato un lavoro intenso di relazione con le comunità locali, nell'ottica di una partecipazione democratica, dal basso, alle scelte delle amministrazioni. Nel contesto internazionale, invece, il sindacato ha cercato di svincolarsi dal rapporto stretto con il governo, che per troppi anni ne ha condizionato negativamente il comportamento. Non mancano, infatti, gli esempi di come la centrale sia stata usata per finanziare indirettamente attivisti politici e sindacali strumentali agli interessi del governo e delle multinazionali Usa (dall'Argentina degli anni '70, ai casi più recenti del Venezuela e dell'Iraq).
In ogni caso, il movimento sindacale americano è in un momento di indubbia crisi, per il calo di consenso e di credibilità tra i lavoratori e di pressione sulle istituzioni e sulle imprese. Basti pensare che negli anni '50 era sindacalizzato un lavoratore su tre, mentre oggi non si arriva a uno su dieci. Anche la direzione attuale concorda sul fatto che non esistono solo fattori esterni, come gli attacchi dell'amministrazione Bush o anche la filosofia neoliberista del governo Clinton. Le cause sono in buona parte interne, infatti, ed è il modello sindacale americano nel suo insieme che andrebbe ripensato. Le critiche avanzate da Stern avrebbero potuto avviare una vera, nuova fase di analisi, ma questa divisione sembra destinata solamente a indebolire non solo l'Afl-Cio ma l'intero movimento del lavoro.
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