"Mediaset 3" Le ragioni del blitz: se vince l’Ulivo l’azienda si svaluta
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giovedì 14 aprile 2005
retroscena
SOSPETTI E TEOREMI DIETRO UNA MOSSA NASCOSTA ANCHE AI FEDELISSIMI DEL CAVALIERE Le ragioni del blitz: se vince l’Ulivo l’azienda si svaluta Gli avversari sognano l’inizio della fuga del premier. Violante: fondi per le elezioni
Ugo Magri
ROMA - NEL giro politico romano non ne sapeva niente nessuno. Caduti dalle nuvole i più stretti collaboratori, compresi quelli cui di solito il Capo non lesina i segreti. Pare si fosse dimenticato di avvertire perfino Gianni Letta, considerato una «tomba». Tantomeno Silvio Berlusconi ne aveva messo al corrente Maurizio Gasparri, il ministro delle Comunicazioni.
Affare di famiglia doveva essere e tale è rimasto, anche per evitare il bis spiacevole di un anno fa, quando la stessa operazione di vendita era stata pianificata nei minimi dettagli, collocata sulla rampa di lancio e bloccata pochi attimi prima che scadesse il count down: troppi allora ne erano stati informati, e da certi strani movimenti di Borsa s’era capito che qualcuno ne avrebbe profittato.
Stavolta la fetta di Mediaset è stata ceduta senza che il Palazzo potesse interferire. E grande sforzo di Fedele Confalonieri, ieri mattina, è stato far sapere ai leader dell’opposizione (tra un anno probabile maggioranza) che nella vendita di quel 16,68 per cento non c’era nulla di minaccioso, si era trattato di un puro espediente finanziario per fare liquidità.
Romano Prodi e Piero Fassino hanno preso per buona la spiegazione, perlomeno hanno finto di crederci. Ma come mai Berlusconi abbia deciso di vendere, è un quesito che ieri ha impegnato la riflessione di molti.
Gasparri, per esempio, vi ha scorto un passo per superare il conflitto d’interessi essendo Mediaset diventata «contendibile». Cioè qualcuno con tanti soldi potrebbe sfilarla un domani al Cavaliere. Solo in teoria, comunque, poiché in pratica la holding è blindata e uno «scippo» sarebbe fanta-finanza. Nell’entourage berlusconiano si esclude che fosse questo l’obiettivo del premier, e si rinvia la risposta al complesso puzzle degli equilibri familiari, dove i tre figli del secondo matrimonio (quello con Veronica Lario) dovevano essere in qualche modo tutelati rispetto a Piersilvio e Marina, già piazzati sul ponte di comando.
Già, ma perché proprio adesso? Cioè neppure dieci giorni dopo la sconfitta delle elezioni regionali? Torna in mente la battuta che il Cavaliere ripeteva negli ultimi tempi, tra il serio e il faceto, a certi direttori di testata Mediaset: «Cominciate a cercarvi un altro posto. Se questa sinistra va al potere, io vendo tutto...». Bene: ha cominciato subito, senza aspettare le elezioni politiche che si terranno nella primavera 2006.
Ragiona ad alta voce un consulente del premier: «Se vince Prodi, per prima cosa quelli cambiano la legge Gasparri sulle Telecomunicazioni. Poi piazzano un tetto alla raccolta pubblicitaria di cui vivono le tre reti Mediaset. Infine magari mettono altri gruppi editoriali nella condizione di diventare reali competitors». Miseria, terrore e morte. Una prospettiva niente affatto allegra per l’azienda di famiglia. Alla quale, rispetto ad oggi, politicamente può andare solo peggio. E quando il trend negativo viene percepito dagli investitori, finisce per trasformarsi in una svalutazione del bene. Berlusconi ha giocato d’anticipo, per non correre rischi. Con una scelta di tempo che tuttavia fa sudare freddo i pretoriani del Cavaliere, poiché lascia intendere che nemmeno lui crede troppo nelle possibilità di rimonta.
E’ la teoria della «grande fuga», del Berlusconi che per la gioia dei suoi avversari liquida tutto e fugge all’estero, magari alle Isole Cayman. Fa a pugni però con l’altra tesi, circolata in queste ore, secondo cui invece il premier ha venduto una quota delle sue tivù perché si prepara a rilanciare in grande stile. L’ha buttata lì Luciano Violante, ipotizzando che Berlusconi voglia spendere i 2 miliardi di euro nella prossima campagna elettorale. Ma pure tra i consiglieri del Capo qualcuno azzarda la stessa intuizione: una cifra del genere, reinvestita in Italia per un mega-shopping alla vigilia del voto, potrebbe diventare un’arma in più del Cavaliere. Meno ricattabile da chi lo minaccia di colpirne le aziende, e pronto a gettarsi in qualche scalata editoriale o politica. Una vecchia volpe democristiana rideva ieri di gusto: «Due miliardi di euro per comprare noi? Diciamo la verità, basterebbe assai meno...».
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