26/5/2005 ore: 13:05

"LucaLuca (3)" Ecco cosa può fare Montezemolo per il «nostro paese» (N.Rossi)

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    giovedì 26 maggio 2005

    Risiko pag 4 e 5


      IRONIE. SINISCALCO, LA FRASE DI KENNEDY E LE RESPONSABILITÀ RIMPALLATE
      Attaccare rendite di protezione
      e sperperi consociativi
      Ecco cosa può fare Montezemolo
      per il «nostro paese»


      di Nicola Rossi


      Capita, a volte, di fare dell’ironia senza volerlo e soprattutto in circostanze in cui non si vorrebbe mai farla. E’ capitato ieri al nostro ministro dell’Economia che, per spingere le imprese e le banche a compiere il loro dovere in un frangente certamente difficile per l’economia e per la società italiana, ha ricordato una bellissima frase di John Kennedy: «Non chiedetevi che cosa il vostro paese può fare per voi; chiedetevi cosa voi potete fare per il vostro paese». Pronunciate da un ministro del governo in carica sono parole che spingono, nel migliore dei casi, al sorriso: è difficile infatti non domandarsi cosa mai abbia fatto per questo paese questa maggioranza, questo governo e - ci perdoni il collega Siniscalco - questo ministro. Cosa mai abbia fatto per affrontarne i limiti strutturali e per dare ordine alla finanza pubblica. Cosa abbia mai fatto per renderlo più unito e moderno. Cosa abbia mai fatto per contrastarne la crescente marginalità in campo internazionale. Ricordarci, come il ministro ha fatto, che è stata messa fine alla stagione dei condoni non è, come si può intuire, una grande risposta se proviene da chi quella stagione ha vissuto da autorevole protagonista.

      Detto questo, l’invito del ministro è tutt’altro che inutile. Non è certo rimpallandosi le responsabilità che si potrà aiutare il paese a venir fuori dal tunnel in cui si è da decenni cacciato. Anche perché tutti - ma proprio tutti - hanno fatto nell’ultimo quarto di secolo quanto nelle proprie possibilità perché il paese vi si cacciasse.

      C’è da augurarsi, quindi, che il primo a raccogliere l’invito sia oggi il presidente di Confindustria. Perché lui, certamente meglio di altri, può spiegare agli italiani che - diversamente da quanto ha scritto un grande quotidiano - il difficile momento attuale della Ferrari non è lo specchio del paese. Perché la Ferrari sperimenta, dopo cinque anni di ininterrotti successi, la durezza della pressione competitiva solitamente presente nei settori di frontiera. Il paese - e cioè la sua classe dirigente - invece è di fronte ad un dilemma assai più grave: non riesce a dare una convincente e compiuta risposta a chi oggi ci domanda quali possano o debbano essere la futura configurazione ed il futuro posizionamento del nostro sistema produttivo. Quale possa o debba essere il suo futuro.
        Una risposta di cui si comincerebbero ad intravedere i contorni se, ad esempio, il presidente di Confindustria aggredisse senza remore il tema delle rendite e delle risorse che esse sottraggono allo sviluppo ed alle potenzialità di crescita del paese. Un tema che non riguarda più, come una volta, il rapporto fra le imprese private ed i monopolisti pubblici ma che vede, invece, o dovrebbe vedere su posizioni contrapposte imprese (più o meno) private aderenti a Confindustria ma operanti su mercati caratterizzati da gradi profondamente diversi di protezione rispetto alla concorrenza.

        Ed un altro passo avanti lo faremmo se il presidente di Confindustria chiedesse per la sua Università non già lo status attuale - una natura privata solo di facciata - ma una architettura normativa radicalmente diversa che, nel rispetto della funzione pubblica che vi si svolge, le attribuisca una reale e piena autonomia nella scelta del personale e delle sue remunerazioni, nella formulazione dei programmi di insegnamento, nella scelta dei criteri di ammissione degli studenti, nella scelta del proprio sistema di governo, nella formazione e gestione delle proprie risorse. E, naturalmente, la piena responsabilità dei risultati.

        E il passo sarebbe ancora più deciso e conclusivo se il presidente di Confindustria, nel ritornare sulla “questione meridionale” non esitasse a denunciare il ciclopico sperpero di risorse pubbliche che in molte regioni meridionali ha avuto luogo negli ultimi anni e l’operazione consociativa che lo ha consentito e conseguentemente annunciasse la volontà della propria associazione di non prendere più parte ai Comitati di sorveglianza dove quello sperpero si è spesso e volentieri realizzato.

        Una riduzione dell’Irap è certamente un fatto che il mondo imprenditoriale non può non salutare con soddisfazione. Ma il presidente di Confindustria sa bene che quel che serve al paese oggi è, soprattutto, una strategia di politica economica ed un governo con l’energia e l’orizzonte temporale in grado di renderla credibile. Concedere tempo ad un governo esausto in cambio di qualche miliardo di euro di minore Irap non è un’alternativa. Perché quel tempo non c’è, come ci dice, con inedita durezza, la stampa internazionale che per la prima volta e senza infingimenti non esita ad immaginare una uscita dell’Italia dall’euro.


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