“Liberazione” rischia la chiusura e sciopera
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GLI STIPENDI DI AGOSTO SARANNO VERSATI IN RITARDO, LO STATO NON PAGA I CREDITI E IN EDICOLA VENDE POCO
Non arriva lo stipendio? Facciamo sciopero. E chiediamo pure la cassa integrazione. A Liberazione, il quotidiano del Partito della Rifondazione Comunista, non era mai successo: oggi nelle edicole il giornale non c'è perché i lavoratori hanno deciso di fermarsi in attesa di chiarimenti sullo stipendio di agosto che, secondo un accordo firmato a fine luglio da azienda e giornalisti, subirà un ritardo. Spiega il direttore Dino Greco: "Chiariamo subito un paio di cose. Tutti i dipendenti sono stati pagati fino all'ultimo centesimo fino a oggi. L'accordo specifica che lo stipendio di agosto, in pagamento a settembre, subirà un ritardo perché il credito di 2 milioni che vantiamo dallo Stato come rimborso non è ancora materialmente disponibile. Il governo non si è preoccupato né in Finanziaria né in decreto mille-proroghe di agevolare il pagamento del contributo che ci spetta e così siamo costretti a prevedere un ritardo nei pagamenti, tutto qua".
Eppure la nota diffusa dai rappresentanti sindacali della redazione risulta molto severa: “E' la prima iniziativa cui ci obbliga la sconcertante risposta della società editrice MRC SpA, nell'altrettanto e più sconcertante silenzio dell'azionista unico Partito della Rifondazione comunista e del direttore Dino Greco, alla denuncia pubblica del Cdr, della Fnsi e di Stampa Romana sull'illegittimità e l'insostenibilità di quanto annunciato dall'azienda al tavolo del 28 luglio: e cioè che a partire dal mese di agosto 2010 le lavoratrici e i lavoratori di Liberazione si trovano a dover prestare la loro opera senza più garanzia certa di retribuzione". E ancora, andando direttamente al cuore della questione finanziaria, un affondo degno di un pezzo sulle tante crisi aziendali di cui il giornale è solito occuparsi, parlando stavolta delle proprie buste paga: le 300 feste di Liberazione organizzate in tutta Italia e le altre iniziative di rilancio sono giudicate un mero placebo: "Iniziative limitate alla ‘promozione’ di abbonamenti e diffusioni straordinarie, oltre che di estemporanee raccolte fondi, che abbiamo già giudicato necessarie ma fortemente insufficienti, mentre si nega tuttora un piano di interventi industriali che preveda un ulteriore e ben più incisivo contenimento dei costi”. Spiega meglio Anubi D’Avossa, membro del Cdr: “Noi vogliamo solo che il piano industriale sia credibile. Esigiamo chiarezza sui conti, innanzitutto. E poi crediamo la situazione sia molto seria: l’unico credito che abbiamo è un possibile rimborso statale da dare in pegno alle banche. Meglio puntare sulla versione on line del giornale e tagliare altre voci, come la diffusione”. Un’ipotesi che al partito magari non piace, ma la redazione vuole capire dove vada davvero a pescare i soldi il giornale per il prossimo futuro e minaccia lo strumento dell'astensione dal lavoro con richiesta contestuale di cassa integrazione straordinaria per stanare definitivamente l'editore MRC, ovvero Rifondazione comunista. "Non c'è alcun segreto, l'obiettivo anzi è chiarissimo: incassare finalmente il credito maturato e poi stare in piedi da soli - risponde Greco -. Dal buco di 3,2 milioni di euro del 2008 siamo arrivati a un deficit di 300mila euro. Roba da lacrime e sangue: contratti di solidarietà, taglio brutale della foliazione, rinuncia totale alle collaborazioni onerose e forte limitazione della distribuzione. Uno sforzo immane, che però segna per tutti noi una possibilità concreta, direi l’unica: vivere di vendite, abbonamenti, pubblicità, finanziamenti statali e non più di partito. Una rivoluzione, un percorso faticosissimo. Ci mancano gli ultimi cento metri e mollare adesso sarebbe davvero un suicidio". Insomma i vecchi compagni devono affrontare il mare aperto del duro mercato editoriale, ma i numeri sono crudeli: 700 abbonamenti (più altri 200 appena raccolti con sottoscrizioni straordinarie), 4mila copie al giorno di vendita dichiarate e un organico non certo leggero (55 dipendenti, di cui 33 giornalisti).