mercoledì 23 Luglio 2003
IL MINISTRO PROMETTE: L’ANNO PROSSIMO IL DOCUMENTO SARÀ UNA PAGINA E UNA TABELLA. RISPETTEREMO IL PATTO DI STABILITÀ «Le riforme con il massimo del consenso sociale» Tremonti difende il Dpef: la riforma previdenziale avanti con la delega
Roberto Giovannini
ROMA Una difesa puntigliosa del Dpef appena varato, quella di Giulio Tremonti. L’ammissione che per il paese «le difficoltà non mancano», anche se non si deve parlare di declino, e tantomeno prospettare «cupi scenari gotici». La conferma che a partire dalla prossima Finanziaria le riforme dovranno essere fatte, ma «con il massimo del consenso e della coesione sociale». E quanto alle pensioni - anche se indubbiamente il tema resta aperto, e non si possono escludere improvvise accelerazioni al momento della predisposizione della manovra per il 2004 - la riforma è da considerarsi già avviata con la delega in discussione al Senato. Ieri mattina, di fronte ai parlamentari delle Commissioni Bilancio di Camera e Senato riunite, il ministro dell’Economia ha cercato di lanciare segnali rassicuranti sullo stato di salute dei conti pubblici italiani, anche se non è mancato il botta e risposta «avvelenato» con l’ex-ministro Vincenzo Visco. E in serata alla festa nazionale del Secolo d’Italia ha ribadito tutte le sue tesi («anche quest’anno non avremo nessun cartellino o espulsione da parte dell’Unione europea») rifiutandosi poi di commentare il rapporto dell’Fmi reso noto ieri. Quella di Tremonti è stata la prima della catena di audizioni sul Dpef. Un documento che piace poco al ministro - che pure in passato si vantò di averlo recuperato al suo vero spirito programmatico - e che l’anno prossimo potrebbe (ma sarà difficile) «sparire», ridotto «ad una pagina e una tabella». Del resto, spiega, la stessa idea del Dpef ha uno spirito «democristiano», ed è «figlia del compromesso storico». Di questo Dpef, Tremonti però difende la coerenza sul versante dei conti pubblici e del quadro previsionale macroeconomico, definito «prudente»: a parte il fatto che il governo confida che il piano italiano e quello europeo sulle infrastrutture potrà dare sin da gennaio una spinta all’economia, si assicura che grazie agli stabilizzatori automatici (ovvero i meccanismi che consentono di sforare i conti in caso di recessione) una manovra-bis non sarà necessaria, e i vincoli europei del Patto di stabilità verranno scrupolosamente rispettati. Per farcela, basteranno i 16 miliardi previsti per il 2004: un terzo di misure strutturali, (fatte di «interventi di contrasto all'evasione e al sommerso, la diminuzione dei regimi privilegiati, l'attivazione sul criterio europeo del patto di stabilità interno e l'effetto di sostituzione della spesa pubblica derivanti dall'applicazione del piano di crescita europeo»), due terzi da entrate e risparmi «una tantum». Troppe? «Era l'unico modo per non uscire dal Patto in un momento di congiuntura negativa, senza fare macelleria sociale, e le abbiamo fatte in accordo con la Ue», insiste il ministro. Tra le misure straordinarie, la parte del leone la faranno le dismissioni immobiliari e altre misure che riguardano «il settore immobiliare». Un condono edilizio, chiede dall’opposizione il senatore Natale D’Amico (Margherita)? «Sarà la Finanziaria - è la secca risposta di Tremonti - a dare contenuti alle formule contenute nel Dpef». Sulle pensioni, il ministro conferma la tesi di Roberto Maroni: basta la delega; spiega di aver personalmente voluto cassare dal Dpef la parte sul credito e sui mutui-casa, anche perché «non ho mai pensato ad azzerare l'autonomia di Bankitalia». Infine, il duro scontro con l’opposizione. In prima linea Vincenzo Visco: l’esponente diesse ha criticato le operazioni contabili (Anas, cartolarizzazioni) e le «una tantum», ha stigmatizzato la mancata previsione dell'effetto trascinamento di alcune spese, a partire dalla sanità, e messo in dubbio tutti i conti elaborati dal governo. «I nostri conti sono corretti», ha replicato Tremonti, che ha accusato il centrosinistra di aver fatto «una tantum almeno per il doppio di noi mentre l'economia, peraltro, andava bene». Visco ha incalzato: «la smetta di fare polemiche, vogliamo i dati». «Non abbiamo capacità divinatorie», è stata la replica. Intanto, dai sindacati fioccano critiche nei confronti del Dpef. Per la Uil, si tratta di un «documento approssimativo e generico», che non va combattuto con uno sciopero perché sarebbe «una protesta contro il nulla». Il sindacato di Luigi Angeletti conferma il «no» a interventi sulle pensioni, e si dice disponibile a trattare in settembre «ma solo a un tavolo unico». Molto dura anche la posizione della Cisl, formalizzata al termine dell’Esecutivo da Savino Pezzotta: il governo «è uscito dall’accordo del ‘93», dice il leader cislino. «Undici tavoli sono fuori da ogni norma - ha detto - non va bene, come non va bene il dialogo sociale. O si torna alla concertazione o è solo una consultazione, e se è così la tensione sociale tende ad aumentare». Sostanzialmente critico anche il giudizio - esposto di fronte ai parlamentari delle «Bilancio» - di Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Cna, Casa e Confapi: il Dpef non dà sufficienti indicazioni su come saranno fatti gli interventi strutturali, è vago, non interviene in modo significativo sulla pressione fiscale per la piccola impresa e rischia di ingenerare confusioni sui tavoli di concertazione con le parti sociali.
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