22/10/2007 ore: 11:12
«La Cgil c’è, questa è la gente del sindacato...»
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«La Cgil c’è, questa è la gente del sindacato...» QUADRATO ROSSO Il logo della Cgil avrebbe dovuto disertare la piazza e invece si è visto. Come si sono viste le bandiere di molti pezzi di Cgil, edili, funzione pubblica, comunicazioni, trasporti, atipici, scuola, pensionati, commercio. Ma soprattutto della Fiom, i metalmeccanici, e delle due aree di sinistra del sindacato, «Lavoro e società» e «Rete 28 aprile». La presenza ha il sapore della sfida al divieto di dirigenti di Corso d’Italia di sfilare con le insegne Cgil, rivolto tuttavia alle sole strutture come impone lo statuto quando la confederazione non aderisce. Ma a sentire i «disobbedienti» il messaggio è un altro: «La Cgil c’è ed è plurale» «e meno male che c’è perché queste sono le sue battaglie e questa è la sua gente». Anche questa. Confusi nella folla i leader del dissenso sindacale (Cremaschi a parte) cercano di far passare un messaggio positivo. In sintonia con i leader della sinistra politica che ripetono che il corteo non è contro il governo. Nonostante qualche striscione e qualche slogan che prende di mira il protocollo del 23 luglio firmato tanto dal governo che dalla Cgil, il sindacato di Guglielmo Epifani che un cartello vorrebbe «in vendita» causa nascita del Partito democratico. Poca cosa, comunque, rispetto alla stragrande maggioranza che «in positivo» chiede a Prodi non di andare a casa, ma di spostarsi «un po’ più a sinistra». A reclamarlo sono - senza sigle di appartenenza - i vigili del fuoco di Roma, i precari del Campidoglio e quelli del comune di Milano, i ricercatori di Reggio Emilia, gli esternalizzati Vodafone, i licenziati Barilla e, striscione dopo striscione, decine di altre realtà tutte precarie. «La manifestazione ha accolto il disagio che c’è attorno al problema della precarietà», è il commento di Gianni Rinaldini. Il segretario della Fiom non è convinto che la presenza, visibile, di tanti militanti Cgil preconizzi una rottura all’interno della confederazione. «Non succederà nulla - risponde - sarei preoccupato del contrario, il dissenso ci deve essere perché fa parte della democrazia e se non fosse così allora mi preoccuperei». «Credo che quella circolare sia stata un infortunio», conclude. A onor del vero i dirigenti dei metalmeccanici qualche sforzo per stare nelle regole lo hanno fatto: molte tute blu hanno lasciato a casa le bandiere e hanno indossato una maglietta con la scritta «Io metalmeccanico e tu...», una frase che riprende lo slogan della manifestazione del 23 marzo 2002 (i tre milioni al Circo Massimo) ma allude anche alla specificità della categoria, l’unica in cui il No al protocollo sul welfare ha prevalso sul Si. In tanti hanno invece indossato la pettorina gialla di «Lavoro e società, cambiare rotta», l’area programmatica che all’ultimo congresso Cgil è confluita nella maggioranza, salvo distinguersi in alcune occasioni, compresa questa. «No al lavoro precario», «No al lavoro nero», hanno scritto. «I simboli non hanno il copyright», taglia corto il coordinatore Nicola Nicolosi. Le bandiere, aggiunge, «sono state portate individualmente dai lavoratori e dagli iscritti». Si è visto anche un adesivo «Io Cgil», e si torna al Circo Massimo. Se ne discuterà domani e martedì al direttivo della confederazione. E quantunque tutti escludano una resa dei conti, non c’è dubbio che Epifani debba ricomporre i «pezzi» e occuparsi della variabile indipendente Giorgio Cremaschi. Da lui e dalla sua componente, «Rete 28 aprile», sono arrivate le parole più dure. «No al protocollo, no al precariato, no a Confindustria», hanno scritto sugli striscioni e giù slogan contro scalini e scaloni. «In questa manifestazione ci sono pezzi importanti di Cgil, se ne deve tenere conto - afferma Cremaschi -. È una manifestazione di popolo, della sinistra e della Cgil che dice basta alla politica economica del governo Prodi, inadeguata, insufficiente e sbagliata. Questo governo ha fatto tanto per Confindustria e nulla per i lavoratori». Quanto ai vessilli «sono per dire che la Cgil è anche nostra, le bandiere sono del popolo e non delle segreterie». Sulle bandiere in Corso d’Italia minimizzano. La responsabile dell’Organizzazione Carla Cantone ricorda che si tratta di regole vecchie di dieci anni, «il logo non può essere usato come fosse un circo Barnum. È comunque una discussione sopravvalutata. Verificheremo come abbiamo sempre fatto», afferma, «come quando c’è qualcuno che se ne frega dei regolamenti». Del resto in Cgil la dialettica non è una novità. «In cima ai nostri pensieri non ci sono certo gli stendardi - conclude Cantone -. C’è l’accordo e la preoccupazione che in Parlamento la destra lo possa peggiorare». |