"Italia Spa 1" Da Autogrill a Rinascente il Paese vende i pezzi migliori
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martedì 2 novembre 2004 Pagina 33 - Economia Da Autogrill a Rinascente il Paese vende i pezzi migliori Da Rinascente a Coin, dai cavi Pirelli a Richard Ginori, da Edison ad Alitalia: l´offerta è alta, la domanda scarsa ETTORE LIVINI MILANO - In vendita la Rinascente. All´asta la Coin. Verso l´ennesimo passaggio di mano la Edison. In predicato di cambiar padrone i cavi Pirelli, Richard Ginori e Finmatica con Autogrill (appena ritirata dal mercato) pronta a tornare in vetrina in caso di offerte interessanti. L´industria italiana ha avviato i saldi d´autunno. E in fila per fare acquisti c´è quasi solo una categoria di compratori: i fondi di private equity. Il motivo? Semplice: sono gli unici che hanno in tasca i soldi per fare shopping. Nel 2003 hanno raccolto in Europa (da banche, assicurazioni, fondi pensione e privati con disponibilità da nababbi) 27 miliardi di euro. In portafoglio si ritrovano 10 miliardi da spendere in Italia. E così quando si apre l´asta per un gruppo di casa nostra fanno la parte dei leoni: venti sono in gara per Rinascente, cinque o sei per la Coin. Molti hanno già iniziato a studiare il dossier Alitalia, altri stanno valutando se la nuova Parmalat, una volta quotata, potrà diventare un boccone interessante. E gli imprenditori di casa nostra? Certo c´è qualche eccezione, come lo shopping all´estero di Del Vecchio o i blitz di Colaninno su Aprilia e Piaggio. Ma in generale latitano. Molti sono alle prese con i debiti e chi ha qualche disponibilità spesso non ha i mezzi per operazioni di queste dimensioni. Per molti è un´occasione persa dal sistema Paese. Anche perché i fondi private equity non sono investitori stabili: comprano, ristrutturano e vendono (se riescono) guadagnandoci. Nel loro curriculum vitae oltre a diverse valide operazioni industriali c´è anche qualche acrobazia finanziaria con società comprate, svuotate della liquidità, caricate di debiti e poi lasciate al loro destino. Con un occhio più al ritorno nel breve termine che alla sopravvivenza industriale nel lungo. L´unica magra consolazione è che lo stesso sta accadendo in Francia e Germania, dove il solo argine al boom dei grandi fondi di questo tipo ? che dal 2000 ad oggi hanno raccolto circa 150 miliardi ? sono i Governi costretti a fare da registi (spesso tramite aziende pubbliche) per mantenere un simulacro di aziende nazionali. L´unica nuvola sull´orizzonte dei private equity è, per una curiosa legge del contrappasso, proprio quella crisi di Borsa che è stata alla base del loro successo. Da anni riescono ad acquistare a prezzi di saldo perché chi ha bisogno di capitali non li trova sui listini. Ora però devono vendere per realizzare. Ma la strada maestra per queste operazioni, in passato proprio la Borsa, è diventata un sentiero molto stretto, dove riescono a infilarsi, e spesso a fatica, solo pochi gioielli. Così i fondi ? per monetizzare i loro investimenti ? hanno iniziato a scambiarsi tra loro aziende come figurine Panini. Da metà 2003 ad oggi in Europa i passaggi di società da un fondo a un altro sono di gran lunga la maggioranza degli affari nel settore. I ritorni, però, ne soffrono. Dal 2001 ad oggi il rendimento triennale dei private equity Usa è negativo, anche se sull´arco dei dieci anni chi ha investito in questi strumenti (e il taglio minimo è spesso un milione di dollari) ha avuto un guadagno medio annuo del 12,9%. |