8/3/2004 ore: 12:00

"Intervista" R.Maroni: lo sciopero è legittimo ma del tutto inutile

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7 Marzo 2004

    intervista
    Francesco Manacorda

    IL RESPONSABILE DEL WELFARE REPLICA ALLE CRITICHE
    Maroni: lo sciopero è legittimo ma del tutto inutile
    «Sono più di due anni che discutiamo con le confederazioni sulla delega previdenziale ed abbiamo accolto il 99% delle richieste.
    Scendere in piazza ora non serve proprio a nulla»
    inviato a CERNOBBIO (COMO)

    E’ uno sciopero inutile. Certamente legittimo, ma altrettanto certamente inutile». Roberto Maroni ha appena finito di stringere mani e consegnare attestati a centoquarantadue tra imprenditori e lavoratori dipendenti comaschi che partecipano alla «Premiazione del Lavoro e del Progresso Economico» e adesso replica così ai sindacati confederali che si preparano per il 26 marzo allo sciopero generale sulle pensioni. E il ministro del Welfare affronta anche il tema del dialogo tra maggioranza e opposizione, respingendo l’accusa di aver chiuso all’opposizione proprio mentre il suo collega Giulio Tremonti lanciava appelli alla collaborazione. Infine un avvertimento: «L’approccio bipartisan al momento è più necessario sul tema del risparmio e del credito che non su quello delle pensioni».
    Ministro, partiamo proprio dallo sciopero generale proclamato dai sindacati. Che cosa risponde?
    «Che sono più di due anni che discutiamo con il sindacato sulla delega previdenziale e che abbiamo accolto il 99% delle richieste che ci hanno fatto - dall’eliminazione dello “scalone” nel 2008 al silenzio-assenso sul Tfr, litigando anche con Confindustria come nel caso della decontribuzione per i nuovi assunti. Credo che il governo non abbia mai mostrato una tale disponibilità. Quindi se lo sciopero serve a fare pressioni sul governo per cambiare la delega ricordo quello che abbiamo già fatto. Se poi lo sciopero, come ho sentito, si fa anche per lo sviluppo allora mi sembra inutile. Lo sciopero si fa contro qualcosa, se si vuole lo sviluppo lo si ottiene facendo proposte».
    Ma in verità il sindacato contesta più in generale la politica economica del governo, non solo le mosse sulle pensioni.
    «Si dice sempre così quando non si vogliono fare le riforme. E’ la stessa obiezione che ci fecero per la riforma Biagi, ma bloccare tutto in attesa della riforma delle riforme, mettere tutti i temi nello stesso calderone non serve a nulla. Noi preferiamo affrontare i problemi uno per uno».
    Livia Turco, dei Ds, vi dà il merito di essere riusciti a ricompattare il sindacato...
    «Ci attribuiscono facoltà e doti che proprio non abbiamo. Il sindacato è in grado di decidere autonomamente e questo governo non lo ha spaccato il 5 luglio di due anni fa, firmando il Patto per l’Italia con Cisl e Uil, e non lo ha unito adesso. E poi guardi che io ho sempre detto che per noi è meglio avere un interlocutore sindacale unico».
    Anche con l’opposizione le cose non vanno benissimo. Perfino un moderato come Tiziano Treu ha detto l’altro giorno che la scelta di portare la riforma delle pensioni in Aula al Senato è una «dichiarazione di guerra».
    «Mi sembrano parole esagerate. Non c’è nessuna dichiarazione di guerra, anzi è esattamente il contrario. Il provvedimento è in Parlamento e l’opposizione ci ha chiesto di continuare il confronto in Commissione Lavoro. Ma siccome il Senato ha deciso che prima di affrontare le pensioni si concluda la discussione sul federalismo, noi abbiamo detto di sì alla richiesta di continuare a discutere sugli emendamenti in Commissione. Proprio lunedì alle sei abbiamo una riunione per questo motivo».
    Resta il fatto che il passaggio del testo in Aula all’opposizione non va proprio giù.
    «Abbiamo voluto dimostrare che la maggioranza è pronta ad approvare la riforma previdenziale, che questa non è su un binario morto, e allo stesso tempo continuiamo il dialogo. Il dialogo però non è la palude, ci vogliono tempi certi per l’approvazione. Può piacere o non piacere, ma questo è il nostro metodo».
    La mossa del governo è un segnale che dovrebbe servire anche all’Italia davanti all’Ecofin e per placare i timori delle agenzie di rating. Non rischia di essere un segnale troppo debole?
    «Ma che cosa c’è di più concreto che portare la delega in Aula? Noi avevamo due alternative: portarla in Aula e poi lasciarla lì ferma per tre settimane oppure andare in Aula e intanto discutere in Commissione gli emendamenti che la sinistra ha presentato. Se discutiamo e votiamo gli emendamenti è proprio il segnale che si va avanti».
    Tremonti chiede riforme condivise. Lei come giudica le reazioni dell’opposizione a questa proposta?
    «Le prime risposte mi sembrano incoraggianti anche se un po’ tiepide. Sono più incoraggianti sulle pensioni, mentre su risparmio e credito vedo un po’ di titubanza. Ma io credo che oggi sia più importante la riforma del risparmio e del credito che non quella previdenziale».
    Addirittura! Ma quella previdenziale non è la più necessaria tra le riforme strutturali?
    «Sulle pensioni siamo a una riforma mediata, già ampiamente discussa, che è ormai a tre quarti del suo cammino. Su risparmio e credito siamo ancora agli inizi di una discussione che tocca elementi fondamentali come il rapporto tra cittadini e banche, tra piccole e medie imprese e credito. Qui si parla di un sistema che comporta un rapporto di fiducia che non si può imporre per legge. Se salta il ruolo dell’Italia come capitale mondiale del risparmio rischiamo anche conseguenze nefaste sulle piccole e medie imprese».
    Quali rischi vede esattamente?
    «Stamattina qui a Cernobbio ho incontrato l’amministratore delegato di Banca Intesa Corrado Passera e ho parlato con lui anche di questi temi. Se il sistema bancario si irrigidisce di fronte a un’iniziativa che lo penalizza il rischio è che ci siano ripercussioni a catena su cittadini e impresa. E le conseguenze peggiori sarebbero per le piccole imprese che non hanno la forza della Fiat nel negoziare con le banche».

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