Una moratoria di due anni all'ingresso dei lavoratori dei dieci paesi che oggi entrano nella Ue per evitare la perdita di milioni di posti di lavoro. Soprattutto nelle piccole e medie imprese del Nordest. Ma le barriere all'entrata, mitigate dall'autorizzazione all'ingresso di 20 mila lavoratori da oggi al 31 dicembre, riguardano solo i dipendenti: tutti i lavoratori autonomi, compresi quindi i collaboratori e i nuovi lavoratori a progetto, potranno essere assunti in Italia senza limiti. Il ministro del welfare, Roberto Maroni, spiega a ItaliaOggi la via che il governo, e il suo ministero in particolare, ha scelto per gestire la libera circolazione dei nuovi cittadini-lavoratori. Precisando che la filosofia della moratoria è più quella di valutare i flussi di ingresso che di reprimerli, nonché quella di semplificare le assunzioni dei 20 mila lavoratori che potranno entrare subito nel mercato del lavoro. E sul momento drammatico che in questi giorni vivono alcune categorie di lavoratori italiani, come i dipendenti dell'Alitalia, Maroni dice: ´La situazione è grave perché i sindacati, senza rispettare gli impegni presi, stamattina (ieri, ndr)non hanno tolto i blocchi negli aeroporti'. ´Una fermata illegittima', spiega il ministro, secondo il quale ´con questo atteggiamento la soluzione della crisi è più difficile'. Domanda. Lo storico arrivo di dieci nuovi paesi nell'Unione europea è accompagnato da una moratoria di due anni agli ingressi per chi viene a lavorare in Italia. Tanto che qualcuno parla di ´porte socchiuse', e non aperte, ai nuovi cittadini. Perché questa scelta?
Risposta. Proprio perché siamo di fronte a un fatto storico, a una novità assoluta, nessuno è in grado di prevederne le dimensioni. Il timore è che le nuove ondate migratorie destabilizzino il mercato del lavoro.
D. In che modo?
R. C'è il pericolo di un'invasione in grado di far perdere milioni di posti agli italiani, dato il minor costo della manodopera in arrivo dall'Est. Un impatto devastante, che ricadrebbe soprattutto sulle piccole e medie aziende del Nord. Se invece questo impatto non ci sarà, e lo verificheremo in questi due anni, allora non ci sarà alcun problema ad aprire le frontiere indiscriminatamente. Del resto la moratoria da due a sette anni non è un'imposizione, ma un negoziato pattuito tra tutti i paesi Ue, compresi i nuovi entrati, nei trattati di adesione firmati ad Atene. E gran parte dei paesi europei è intenzionata a farne uso. Ricordo che comunque abbiamo fissato una prima quota di 20 mila lavoratori autorizzati a entrare in Italia, da oggi fino al 31 dicembre 2004.
D. Ma che tipo di lavoratori arriverà? In quali imprese e quali regioni si concentreranno?
R. Secondo le nostre previsioni, basate sulla presenza attuale di cittadini dell'Est europeo, il primo flusso migratorio sarà caratterizzato da lavoratori stagionali, soprattutto agricoltori, che si concentreranno nel Nordest. In parecchi saranno anche impiegati nel turismo e nei servizi alla persona, soprattutto al Centronord.
D. Un problema sempre più attuale è quello della delocalizzazione. Tanto che il tema scavalca ormai i confini dell'allargamento a est dell'Europa, visto il ruolo preminente ormai conquistato da giganti ancora più a est, come l'India e la Cina. L'allargamento può comunque comportare un aumento di questa pratica. Che fare?
R. Chiederemo innanzitutto agli imprenditori di non andare a tirar su aziende dove non esistono livelli garantiti di tutele sul lavoro. Nel tema della responsabilità sociale delle imprese, che il mio ministero sta promuovendo sia in Italia che all'estero, c'è anche questo aspetto. Bisogna però stare attenti, perché a parte questo limite non è possibile impedire alle nostre imprese di andarsene. Si può solo spingerle a restare, attraverso la riduzione del costo del lavoro e un mercato più flessibile. Sulla prima condizione stiamo ancora lavorando, la seconda l'abbiamo realizzata con la riforma Biagi.
D. I vantaggi dell'allargamento per le imprese italiane?
R. I nuovi mercati hanno un grande potenziale di scambi reciproci, di integrazione. Ci sarà finalmente meno burocrazia per chi vuole investire all'Est. Penso soprattutto ad alcuni settori come il turismo.
D. La riforma del lavoro trasforma le vecchie collaborazioni fittizie in lavori a progetto, caratterizzati dal requisito dell'autonomia. Vuol dire che i nuovi arrivati potranno entrare indipendentemente dalle quote, se saranno assunti come collaboratori a progetto?
R. Esattamente. Se rientreranno nel novero dei lavoratori indipendenti, come i contrattisti a progetto o i collaboratori ´veri', potranno essere utilizzati senza limitazioni.
D. Quali sono gli strumenti della riforma del lavoro più adatti a fare fronte alla nuova immigrazione?
R. Tutti gli strumenti offerti dalla legge Biagi, dai contratti flessibili alla certificazione dei rapporti, renderanno più facili le assunzioni regolari. La riforma è ormai quasi del tutto operativa, in autunno arriverà anche il decreto con le correzioni che migliorano qualche aspetto, tenendo conto dell'esperienza fatta in un anno di attuazione.
D. Come funzionerà il welfare per i nuovi lavoratori?
R. Come per qualsiasi cittadino europeo. Le regole sulla previdenza, sulla sanità e sugli ammortizzatori sociali che attualmente regolano la circolazione dei cittadini Ue si estenderanno automaticamente anche a loro.
D. Nuovi lavoratori sono forse pronti a entrare in Italia alla ricerca di migliori condizioni di vita. Ma alcune categorie di lavoratori italiani vivono un momento difficile. Come uscire ad esempio dalla crisi Alitalia?
R. La situazione è molto grave. Stamattina (ieri, ndr) non sono stati tolti i blocchi negli aeroporti, come invece era stato promesso dai sindacati nell'accordo di ieri sulla trattativa no stop che partirà lunedì a palazzo Chigi. È un fatto negativo che certo non aiuta, perché noi stiamo rispettando gli impegni ma il sindacato non fa altrettanto, mentre ogni giornata di sciopero costa 15 milioni di euro all'azienda. Sono forme di lotta illegali, e così la soluzione diventa molto più difficile. (riproduzione riservata)
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