"Intervista" Pezzotta: il nostro obiettivo è farlo fallire

25 aprile 2003
Pezzotta: il nostro obiettivo è farlo fallire
«Sbagliata la consultazione Si tratta di un attacco all’autonomia delle parti sociali»
ROMA - Savino Pezzotta è noto per essere uno che nella discussione si accende facilmente. Ma quando si parla con lui del referendum sull’articolo 18 (estensione alle piccole imprese del diritto al reintegro) ci si trova davanti a una persona del tutto tranquilla. Il segretario della Cisl spiega questa stranezza in vari modi: «Sono sereno, i sì non vinceranno. La Cisl, in ogni caso, ha fatto tutto ciò che poteva per difendere, col Patto per l’Italia, l’articolo 18», «è vero, il referendum divide il sindacato, ma questa situazione si può recuperare, se manterremo la vicenda in un ambito sindacale, senza buttarla in politica». Facile a dirsi, ma l’ostentata tranquillità di Pezzotta non dissipa il dubbio che si tratti di una forma di esorcismo rispetto a un’eventuale vittoria del «sì», così come il continuo prender tempo nei confronti di decisioni che saranno inevitabili. La Cgil deciderà la sua posizione sul referendum il 6 maggio, la Uil il 9. E la Cisl? «Decideremo in tempo utile per il voto del 15 giugno. Abbiamo un esecutivo il 13 maggio, ma non so se decideremo allora». Che fate, aspettate l’ultimo minuto? «Vogliamo valutare con molta attenzione quello che faranno gli altri sindacati e le forze politiche. Poi prenderemo la decisione più utile al nostro obiettivo, che è quello di far fallire il referendum». Perché volete il fallimento della consultazione? «Perché siamo contrari all’uso del referendum su materie che riguardano il mondo del lavoro. Si tratta di un attacco all’autonomia negoziale delle parti sociali». Ci sono due modi per ottenere il vostro obiettivo: disertare le urne o votare no. Che cosa proporrà? «Non lo so ancora. Ma la prima scelta ha più chances». Questo perché i sondaggi dicono che, se ci sarà il quorum, vinceranno i sì? «No. Non inseguiamo questi sondaggi. Bisogna vedere come sono fatti. E poi se uno spiega, perché il referendum è sbagliato, i risultati possono cambiare. Non ci siamo ancora mobilitati, ma al momento opportuno la Cisl metterà in campo il suo impegno per il fallimento del referendum». Sempre i sondaggi segnalano che, anche tra gli iscritti alla Cisl, il sì prevale sul no. «Noi abbiamo indicazioni diverse, di largo consenso alla nostra linea, che attraverso il Patto per l’Italia ci ha consentito di difendere l’articolo 18 che, non dimentichiamolo, il governo voleva cambiare. Chi ha condiviso questa nostra linea ci seguirà anche adesso, perché sa che non è col referendum che si tutelano i lavoratori». Nella Cgil e nella Uil ci sono posizioni contrapposte. Nella Cisl? «Non ci sono dirigenti che si siano espressi per il sì. Al massimo c’è un dibattito su se sia meglio scegliere il non voto o il no. Niente di drammatico». Il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, proporrà alla sua organizzazione di schierarsi per il sì, ma un sì con motivazioni diverse da quelle di Rifondazione e degli altri proponenti. «Non voglio fare polemiche. Con la Cgil abbiamo su questo opinioni diverse e non mi scandalizzo. Osservo solo che nell’urna i voti si contano e non si qualificano. Come si fa a distinguere un sì vero da un sì imbarazzato? Alla fine si sommano e basta». L’ex leader della Cgil, Sergio Cofferati, finora ha evitato di prendere posizione. Perché? «Forse si rende conto che una cosa è difendere l’articolo 18 così com’è ora, un’altra è estenderlo a tutti». L’Ulivo è spaccato e anche i Ds lo sono al proprio interno. «Queste fratture dimostrano che il referendum non è stato voluto per tutelare i lavoratori. L’articolo 18 è stato utilizzato strumentalmente da Rifondazione comunista per uno scontro nella sinistra». Ci pensa mai a che cosa succederà in caso di vittoria del sì? «Sono convinto che i sì non vinceranno. Ma, se dovesse accadere, avremmo solo problemi in più per tutti. Dovremmo fare una legge perché è evidente che l’articolo 18 (diritto al reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati nelle imprese con più di 15 dipendenti, ndr ) non potrebbe estendersi a tutti, per esempio alle aziende familiari. Aumenterebbe la tensione con le imprese e temo conseguenze negative sull’occupazione». E si aggraverebbero le divisioni nel sindacato? «Chi ha promosso il referendum non ha certo lavorato per l’unità sindacale. Oggi non ci sono le condizioni per farla. Meglio cercare convergenze, senza demonizzare le posizioni altrui. Possiamo farlo se restiamo su un terreno sindacale. Il futuro del sindacato non si gioca certo su questo referendum, ma sulla capacità di interpretare le nuove sfide del mondo del lavoro. In materia di tutele dobbiamo aprire subito una discussione sullo Statuto dei lavori. Sarà più facile farlo se il referendum sarà sconfitto».
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Enrico Marro
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