"Intervista" P.Pirani(Uil): «La via dell’unità sindacale non ha scorciatoie»
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Intervista a: Paolo Pirani (Uil) |
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Intervista a cura di Felicia Masocco
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14.12.2003 «La via dell’unità sindacale non ha scorciatoie»
ROMA Paolo Pirani, segretario confederale della Uil. Ci sono segnali di ripresa dell’unità sindacale. Si consolideranno? «Certamente il clima tra Cgil, Cisl e Uil sta cambiando, la situazione economica, sociale e politica è mutata ed è necessario dare risposte comuni ad una serie di fatti negativi, dalla Finanziaria al Mezzogiorno alle pensioni. Questo ha consentito l’avvio di un movimento unitario di iniziative, importante di per sé però insufficiente a riproporre il tema dell’unità. Occorre un salto di qualità, una riflessione che consolidi nel tempo i rapporti unitari. La validità di un processo unitario deve essere verificata non solo nella protesta ma anche nella capacità di essere soggetto portatore di una proposta per la società. Mi spiego, Paolo Nerozzi (che aveva affrontato l’argomento sulle pagine dell’Unità, ndr) individuava in accordi unitari come quello all’Ilva di Taranto segnali positivi. Certamente lo sono, però le differenze nel caso dei meccanici sono ancora radicali così come le posizioni delle confederazioni devono maturare». Sembra di cogliere un velo di diffidenza... «Non c’è diffidenza, c’è consapevolezza che il rapporto tra le confederazioni possa evolvere positivamente solo sulla capacità di proposta. Essendo noi portatori si un’idea riformatrice della società abbiamo il dovere di sottolinearlo. Oggi Cgil, Cisl e Uil devono confrontarsi con una società molto cambiata e riflettere e rielaborare la loro strategia». A quale strategia pensa? «Penso che il sindacato debba essere innanzitutto rappresentativo. Debba rappresentare interessi e tradurli, se possibile, in accordi. Siamo in una società post-fordista con una organizzazione della produzione destrutturata e grandi flessibilità, con soggetti nuovi a cui dare risposte: dobbiamo adeguarci, saper unire l’innovazione al progresso sociale». Diceva che nonostante l’accordo unitario all’Ilva il problema dei meccanici resta tutto. Un modo per dire che non può esserci unità tra le confederazioni se non si risolve? «Resta un punto di grave dissenso dentro il movimento sindacale e oggettivamente incide un po’ su tutta la partita. Bisogna chiedersi qual è la strategia per risolverlo. C’è questo richiamo da parte della Fiom all’uso del referendum, a mio avviso questa idea di democrazia “diretta” fa un po’ il paio con l’idea berlusconiana dell’essere stato eletto dal popolo e per questo pensare di poter superare la rappresentanza parlamentare. Credo sia che tende a dividere i lavoratori per cui su ogni questione c’è questa sorta di ordalia, viene chiamato il popolo a decidere». Però è stato firmato un contratto senza la organizzazione più rappresentativa... «Io credo che vada distinta la questione della rappresentatività dalla rappresentanza. Dobbiamo puntare ad una rappresentatività certificata come si è fatto nel pubblico impiego in cui si individua un elemento ponderale tra iscritti e voti delle rappresentanze sindacali e si potrebbe decidere che un contratto è valido se trova il consenso di almeno il 51% delle rappresentanze dei sindacati. Sono due elementi che possono essere oggetto di accordo confederale e magari di una legge perché c’è un problema di come verificare i voti e gli iscritti. In questo modo i sindacati che firmano i contratti hanno legittimità a farlo, così come le Rsu possono firmare gli accordi senza validazioni referendarie che gli toglierebbero sovranità». In quale sede pensa che si possa discuterne? «Nell’ambito di una revisione più complessiva delle politiche contrattuali. Conclusa, spero positivamente, la questione delle pensioni dobbiamo ragionare sul nostro modello di politiche rivendicative e contrattuali, rimettere mano all’accordo del 23 luglio per adeguarlo alle novità che ci sono, ridare spessore alle politiche salariali è una priorità come dimostra l’esasperazione di alcune categorie di lavoratori alle rese con il contratto, dobbiamo dare dignità e tutela contrattuale per le figure che stanno emergendo. Ora ci sono diversi modelli in campo, quello della Fiom è alternativo al nostro, è molto plebiscitario e populista. E peraltro non è la posizione generale della Cgil». Ma la Fiom è una parte non marginale della Cgil... «Se il modello dovesse restare questo sarebbe un ostacolo che ha una sua rilevanza. Queste dinamiche vanno affrontate nel merito, una scorcia toia sulla via dell’unità non è possibile. E c’è un’altra cosa che non mi convince della riflessione di Paolo Nerozzi... Quale? «Il silenzio del centrosinistra sull’unità sindacale. Il centrosinistra non deve dire nulla sull’unità, noi dobbiamo rivendicare al centrodestra e al centrosinistra il riconoscimento della rappresentanza dei corpi sociali. Affidare la possibilità di un processo unitario a forme di collateralismo politico sarebbe un errore clamoroso». Paolo Nerozzi in realtà esprimeva il timore che, cito, «l’unità dei sindacati venisse confusa con la moderazione». «Un sindacato unito è scomodo a prescindere. Non credo invece che il processo unitario vada confuso con lo sviluppo di movimenti su temi come la pace o la giustizia. Se lo si fa saranno delusioni e fallimenti. E il processo unitario non farà grandi passi in avanti».
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