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sabato 8 ottobre 2005
IL SEGRETARIO DELLA QUERCIA ALLA VIGILIA DEL GRANDE SCONTRO CHE DA MARTEDÌ INFUOCHERÀ MONTECITORIO
"Intervista"
Fassino: «Anche se cambierà la legge elettorale non chiederò per i Ds la guida del governo»
Federico Geremicca
ROMA Piero Fassino lo dice proprio alla fine. E probabilmente è l’ultima occasione per fermare gli eserciti in marcia prima del Grande Scontro che da martedì infuocherà l’aula di Montecitorio sulla riforma della legge elettorale. E’ un appello. Che contiene, però, una precisa offerta: «Personalmente - spiega Fassino - penso da tempo che il centrosinistra dovrà avere come regola che tutto ciò che attiene alla materia istituzionale ed elettorale sia approvato dal Parlamento sempre e soltanto con maggioranza “qualificata”, cioè più larga di una semplice maggioranza di governo. Ora aggiungo che, se è il caso, possiamo sancire questo principio introducendolo anche nella Costituzione. Dunque, il mio appello è questo: se davvero Berlusconi e il centrodestra non sono solo alla ricerca di una zattera per sfuggire al naufragio della sconfitta elettorale, allora si fermino e affrontino questa materia con noi, dopo le elezioni, in un clima in cui non ci sia il sospetto dell’interesse di parte».
Ed è questa, in realtà, l’unica trattativa ormai possibile intorno ad un’ipotesi di riforma che il leader della Quercia rigetta in toto. Piero Fassino, infatti, non si lascia tentare da Berlusconi quando dice che in un sistema proporzionale “il premier è naturalmente il leader del partito maggiore”: «Provocazione inutile. Noi - replica il segretario Ds - abbiamo scelto Prodi, e sarà lui il capo del governo qualunque sia la legge elettorale con cui si voterà». Né teme l’apparire di franchi tiratori dell’Unione nel segreto dell’urna: «Sappiamo bene che nel centrosinistra ci sono forze favorevoli al sistema proporzionale: ma siamo tutti uniti dalla consapevolezza che la riforma in discussione adesso non è proposta da Berlusconi per garantire stabilità e governabilità». E così, nel giorno in cui festeggia il suo cinquantaseiesimo compleanno, il leader ds conferma - appunto - che lo spazio per una trattativa è ormai quasi del tutto consumato.
Eppure, signor segretario, molti sostengono - e Berlusconi tra questi - che il ritorno al proporzionale favorirebbe i partiti maggiori. Non la stuzzica, quest’argomento?
«Per la verità, l’idea che con la nuova legge Forza Italia possa riconquistare consensi mi pare un’illusione. A me giungono notizie del tutto contrarie: c’è uno smottamento collettivo in quel partito, consiglieri comunali, provinciali e regionali che cercano rifugio altrove, parlamentari che non intendono ricandidarsi o che proveranno a farlo con altri... In più, mi permetta, la tesi di Berlusconi è offensiva per i suoi alleati, trattati come un peso se non addirittura come un ostacolo. Mi domando solo, visto che la pensa così, come fa a chiedere ai cittadini fiducia per la sua coalizione».
Lasciamo stare Forza Italia e occupiamoci dei Ds. Con il proporzionale voi, probabilmente, otterreste più parlamentari. E’ così o no?
«Guardi, il punto è che mentre Berlusconi propone questa legge unicamente pensando alle prossime elezioni e a come contenere i danni di una sconfitta, noi guardiamo agli effetti che essa determinerebbe sul sistema politico. E gli effetti sono devastanti: più frammentazione, più litigiosità, minor stabilità. E’ per questo che diciamo con chiarezza no, al di là delle convenienze contingenti e degli interessi di parte».
Questo vale anche per la premiership? Cioè, se alla fine la legge cambiasse, l’Unione vincesse comunque e la Quercia si confermasse il partito più forte, perché lei non dovrebbe chiedere per sé l’incarico di formare il governo?
«Perché la nostra scelta l’abbiamo fatta: è Prodi. E non solo abbiamo scelto Prodi, e non c’è ragione di cambiare, ma abbiamo anche compiuto un atto di straordinario valore democratico. Per la prima volta nella storia politica, non solo italiana ma europea, alla vigilia delle elezioni una coalizione decide che il suo leader sia rafforzato da un grado di legittimazione democratica e partecipativa fondata sul voto diretto dei cittadini. Alcuni sottovalutano la portata delle nostre primarie. Eppure basta una cifra a rendere l’idea. Quando si fanno le elezioni, lo Stato - con tutto il suo apparato - allestisce 64mila seggi: noi, sulla base unicamente di un lavoro di volontariato politico, il 16 ottobre offriremo agli elettori 10mila seggi. Si tratta di una straordinaria prova di vitalità democratica che consentirà a Prodi di essere un leader più forte, mentre il centrodestra - contemporaneamente - pensa alle primarie per vedere come indebolire Berlusconi...».
La sensazione, comunque - dica se è un errore - è che questa vicenda sia stata segnata da un inizio sbagliato, e che se si fosse partiti in altro modo, magari un’intesa si poteva trovare...
«Forse. Ma comunque non è andata così. Intanto per una questione di metodo: non è mai stato ricercato - e dico mai - il consenso dell’opposizione. Al contrario, si è tentato e si tenta di imporre una legge scritta dalla sola maggioranza. E anzi, se vogliamo dirla tutta, nemmeno da una maggioranza, ma da una sua parte, visto che a Follini e a settori dell’Udc questa legge non piace e che la Lega la voterà, forse, solo se sarà approvata la devolution. Insomma, questa riforma la vogliono soltanto Forza Italia e An, che non sono maggioranza né nel Paese né in Parlamento».
Questa critica è nota. Ma se invece l’avvio fosse stato diverso?
«Ma che senso ha ragionare sui se e sui ma? Quello che conta è che oggi viene proposto il ritorno ad un sistema proporzionale perfino peggiore rispetto a quello di prima. E’ un sistema che enfatizza le frammentazioni, spinge alla moltiplicazione delle liste, dei partiti e dei gruppi parlamentari. In più, spezza il rapporto che con il maggioritario si era creato tra eletti ed elettori: perché mi deve spiegare che dialogo è possibile quando si passa dagli attuali 475 piccoli collegi uninominali di 120mila elettori l’uno, a grandi collegi regionali. A volte, enormi collegi regionali, come la Lombardia e i suoi nove milioni di cittadini. Infine, e la chiuderei qui, sono evidenti a tutti gli interessi di parte per i quali viene proposta. Se vinceremo non potremo lasciare le cose così».
Si tratterebbe - lo dite da settimane - di un tentativo che il centrodestra opera per perdere di meno. E’ così?
«Sì, innanzitutto questo. Ma non solo. Aggiungerei il fatto che l’esasperata conflittualità sviluppatasi nel centrodestra, soprattutto dopo la sconfitta subita alle elezioni regionali, non consentirebbe loro candidature unitarie nei collegi, perché dove c’è Follini o qualche esponente dell’Udc, Lega e Forza Italia non lo voterebbero, e dove è candidato Calderoli non voterebbero gli elettori dell’Udc. In più, è evidente il tentativo di minare il dopo voto...».
E’ la cosa che più di ogni altra sembra preoccupare Prodi. L’altro giorno il Professore ha accusato: sanno che vinceremo e vogliono consegnarci una situazione di sostanziale ingovernabilità. E’ d’accordo anche lei?
«Non c’è dubbio che l’obiettivo di chi vuole questa legge è fare il modo che il centrosinistra, pur vincendo, abbia una maggioranza più stretta in Parlamento. Poi, qualcuno fantastica anche di poter così logorare il governo dell’Unione, creandogli difficoltà e magari mettendolo in crisi durante la legislatura. Io non inseguo questi scenari politologici. Penso che le elezioni le vinceremo comunque, anche se dovesse cambiare la legge elettorale. E che il centrosinistra sia nelle condizioni di governare l’Italia per cinque anni stabilmente. Credo, però, che sia giusto denunciare il tentativo che il centrodestra sta facendo, così che siano gli stessi elettori, al momento del voto, a tenerne conto. Insomma, lo dico con il massimo della semplicità: se il loro obiettivo è cambiare la legge elettorale per far sì che chi vince le elezioni duri meno, noi chiederemo agli elettori di darci ancor più voti per sconfiggere un disegno che è di pura e irresponsabile destabilizzazione».
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