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N.51 Anno LI - 27 dicembre 2005
Non sparate sulle Coop
I Ds non devono valutare il comportamento di Consorte. E la legalità non può restare affidata alle toghe. Per questo ora serve una vera riforma del risparmio
colloquio con Pierluigi Bersani di Paolo Forcellini
Fra gli esponenti di maggior spicco della maggioranza ds (tendenza D'Alema), il piacentino Pierluigi Bersani, eurodeputato e responsabile della Quercia per il programma, ex ministro e probabile futuro ministro, sulle vicende bancario-giudiziarie di questi mesi è stato uno di quelli che si è speso maggiormente in difesa della scalata di Unipol alla Bnl. Dopo le rivelazioni sui conti milionari (in euro) del presidente della compagnia assicurativa delle cooperative, Giovanni Consorte, e del suo vice, Ivano Sacchetti, presso la banca di Gianpiero Fiorani, e dei profitti milionari intascati dai due, la sua valutazione della strategia Unipol è cambiata? "L'espresso" è andato a chiederglielo.
Giorni fa lei ha detto: "È aberrante aver già condannato Consorte". Ma non le pare che, al di qua delle condanne giudiziarie, quanto emerso imponga ai Ds un giudizio etico? Non le sembra che si possa già dire che il presidente di Unipol deve andarsene perché ha tradito i valori fondanti del movimento cooperativo?
"Io ho semplicemente detto che, dal punto di vista delle procedure, Unipol è un'impresa che ha diritto di avere una risposta sulla sua iniziativa di Opa, e che anticipare giudizi di condanna che interferiscano su queste procedure mi pare inaccettabile. I comportamenti dei singoli, poi, li valuti la magistratura se vi sono gli estremi, e li valuti il movimento cooperativo alla luce dei suoi codici etici. Non credo tocchi a noi occuparcene. Da forza politica, a noi tocca fare in modo che vi siano regole che funzionano".
Il suo compagno di partito Enrico Morando giudica "decisamente criticabile, eticamente negativo e censurabile" il comportamento di Consorte... "Sono questioni molto delicate. Il presidente di Unipol ha dato le sue spiegazioni. Sta al movimento cooperativo giudicare gli aspetti di profilo etico. Come partito, non mi piace l'idea che ci mettiamo a giudicare le azioni di questa o quella persona".
Consorte può avere sbagliato, ma l'Opa su Bnl è giusta: è quasi un leit-motiv. Ma è un'affermazione così scontata? Il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, ha per esempio osservato che Bnl è un boccone troppo grosso per la compagnia di via Stalingrado. Non pare anche a lei che vi sia una grande sproporzione fra i due promessi sposi che rischia di andare a discapito di risparmiatori, cooperatori e delle capacità di investimento di questi gruppi?
"Noi ci siamo limitati a dire qualcosa quando autorevoli voci si sono alzate a sostenere che la cooperazione in quanto tale non doveva occuparsi di finanza. Non abbiamo né chiesto privilegi per le cooperative né difeso l'italianità di Bnl. In Italia abbiamo authority in grado di giudicare se un'offerta è sostenibile sul piano finanziario, se un'impresa è in grado di lanciare un'Opa di una certa portata. Su questo terreno ci rimettiamo alle valutazioni delle autorità competenti. Come partito, invece, possiamo chiederci se il progetto è valido dal punto di vista degli obiettivi industriali, se sia ipotizzabile un disegno di "banca-assurance". La mia risposta è: sì, è ragionevole, tant'è vero che ne sono stati realizzati altri in tante parti d'Europa, anche da soggetti cooperativi".
Ma un accordo di "banca-assurance" non è già stato tentato da Unipol con Mps, peraltro con risultati deludenti?
"Sono percorsi complessi. Se Unipol ha deciso un'iniziativa così impegnativa come l'Opa su Bnl, evidentemente è perché altre soluzioni nel frattempo si sono rivelate impraticabili o insoddisfacenti".
Si è parlato di "doppio concerto" a proposito delle operazioni Bpi-Antonveneta e Unipol-Bnl. Il gip Clementina Forleo ha scritto: "Esistono accordi riservati in ordine a entrambe le scalate" che coinvolgono gli stessi soggetti. In tutte le operazioni, così come nel cda della Hopa, ritroviamo i soliti noti: Fiorani, Consorte, Emilio Gnutti. Lei ha detto che quello della grande finanza è un club ristretto. Ma non le pare che in questo caso le "combinazioni" siano un po' eccessive?
"Ho pure detto che per pubblicare l'elenco di tutti quelli che sono in affari con Gnutti non basterebbe un intero giornale. Quanto alle "combinazioni", credo si debba andare a vedere caso per caso se sottintendono o meno affari regolari. Mi sembra che i due casi citati siano molto diversi e non ho proprio nessun elemento per parlare di "doppio concerto"".
Si sono levate voci contro il pericolo di "supplenze" della magistratura, si è rievocato il "tintinnar di manette". Ma se la vigilanza non vigila e i politici non legiferano, la magistratura non è fortunatamente un'ultima spiaggia?
"Certo, la magistratura fa bene a fare il suo mestiere. Ma un paese non può vivere se la legalità è affidata solo alle toghe. In Italia vi sono dei problemi strutturali nel sistema delle autorità di controllo. Insomma, al di là dei fatti illegali di cui è bene si occupino i giudici, c'è una fisiologia che non funziona e che può quindi lasciare ampi varchi a comportamenti criminali. Oggi tutti i giornali sembrano essersi dimenticati che siamo stati noi ds, un paio d'anni fa, in tempi in cui altri avevano davvero quell'eccesso di prudenza che oggi ci rimproverano, a presentare un progetto di legge sulla riforma del sistema dei controlli e dei poteri della Banca d'Italia, inclusa la questione del mandato a termine per il governatore".
Perché avete avvertito l'esigenza di questa riforma?
"Si era all'indomani dello scandalo Parmalat. Ma soprattutto siamo partiti dalla convinzione che parlare del governatore come di un arbitro era un'ipocrisia totale: per un decennio il dominus di Bankitalia ha fatto il regista, non l'arbitro. Deciderà la magistratura se negli ultimi anni questo ruolo è stato svolto correttamente o meno, certo è che è stato un ruolo da regista, appunto, con un insieme impressionante di poteri, dalle competenze monetarie, oggi in condominio con la Bce, al monopolio della vigilanza bancaria, dalla tutela della concorrenza al controllo sull'integrità finanziaria degli istituti. Un potere a 360 gradi che ha funzionato in una fase di riorganizzazione e concentrazione del sistema bancario, quale quella dei primi anni '90. Ma da tempo ormai questa funzione, utile quando si trattava di consolidare il mercato interno basato su migliaia di piccole banche, va riformata. Affidando parte dei poteri di via Nazionale a Consob e Antitrust e ridimensionando quelli della Banca d'Italia, indirizzandoli soprattutto verso compiti di vigilanza. Il contesto complessivo è infatti profondamente cambiato: oggi c'è la legge sulle Opa, c'è stata l'apertura del sistema creditizio al mercato europeo e lo sviluppo delle operazioni "cross border", molte banche sono diventate spa quotate, e così via".
Ora che Antonio Fazio ha tolto l'incomodo, ritiene più utile che nel futuro della banca centrale vi sia un governo "autocratico" oppure uno "democratico", cioè con la condivisione delle responsabilità da parte del direttorio?
"Ci vuole più collegialità. L'autocrazia è fuori dai tempi".
Dopo le dimissioni dell'uomo di Alvito, la legge sulla riforma del risparmio tornerà alle calende greche, non essendoci più l'urgenza che aveva indotto Francesco Rutelli a invitare il centro-sinistra a fare anche qualche concessione in più?
"La legge non sarà più il cavallo di Troia per disarcionare il governatore, come si ipotizzava, ma i motivi che la rendevano indispensabile rimangono tutti, dal riequilibrio dei poteri fra autorità fino alle sanzioni agli amministratori infedeli. E nessuno potrà a questo punto chiedere che si chiuda un occhio, o magari due, sui contenuti, in nome dell'esigenza di "dimissionare" al più presto Fazio. In ogni caso sono convinto che su un tema come il falso in bilancio comunque non si potevano, e non si possono, fare sconti".
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