"Intervista" M.Resca: Hamburger, petrolio e famiglia

lunedì 16 giugno 2003
ECLETTICO «Ho fatto anche il giornalista e il cacciatore di teste con Zehnder. E selezionato Franco Tatò per la Mondadori»
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Hamburger, petrolio e famiglia
Parla Mario Resca, presidente di McDonald’s e consigliere dell’Eni: «Le stock option? Sono un disastro»
E’ un profeta degli Usa ma non crede nelle stock option, che definisce «un disastro». Perché, se vuoi avere molti soldi, devi fare l’imprenditore e rischiare in proprio. La sua regola per il successo è quella di mettere al centro il cliente, il prodotto e avere una squadra giusta. Con questa formula nel ’92 ha preso le redini della McDonald’s Italia e l’ha portata ad avere 16 mila dipendenti, 4 mila fornitori, 330 ristoranti. Mario Resca, 57 anni, una laurea alla Bocconi, 4 figli, è un imprenditore-zelig dalle mille facce. E’ anche presidente della American Chamber of Commerce in Italia, presidente di Italia Zuccheri (nuovo polo saccarifero che ha rilevato due terzi della ex Eridania, gruppo Ferruzzi), presidente della Sambonet Spa e della Kenwood e in altri cda. Grazie alla sua amicizia con Silvio Berlusconi è stato candidato come ministro degli Esteri e il suo nome è apparso nella rosa dei candidati alla guida della Rai. Non contento, adesso si sta guardando intorno per buttarsi nell’immobiliare. «Non come speculatore, ma con progetti di alta qualità». Di più non vuol dire. E da un anno è entrato anche nel consiglio di amministrazione dell’Eni. Dagli hamburger al petrolio? «Sono un uomo di azienda, con esperienze internazionali. E poi, se mi passa una battuta, distribuisco e vendo calorie per il corpo umano. Carne o petrolio, alla fine sempre di energie si tratta. L’Eni è una delle poche aziende italiane a livello globale che ha ancora forti possibilità di crescita». Quali sono le sue idee? «L’Eni, con l’Agip, ha seimila punti di vendita e quindi un formidabile contatto col cliente finale e il territorio. Il marchio del cane a sei zampe è fortissimo sia in Italia che in Europa ed è giusto continuare a investire sul cliente. Senza contare lo sviluppo in nuove aree di esplorazione petrolifera. Il mio contributo è favorire in tutti i modi la crescita del gruppo. Perché se non cresciamo noi, cresce qualcun altro». La sua storia in breve. Come ha cominciato? «Prima della laurea ho fatto il giornalista al mensile Espansione , allora diretto da Gianmaria Beltramini de Casati. Poi ho avuto un’offerta dalla Chase Manhattan. Mi sono consultato con Mario Monti, allora giovane professore alla Bocconi, e ho lasciato il giornale. Per la banca ho girato il mondo. Negli Anni Ottanta sono diventato imprenditore lanciando la Kenwood Italia e mi sono messo a fare il cacciatore di teste prima con Egon Zehnder poi come partner di Eric Salmon. Il resto si sa». Racconti la sua candidatura alla Farnesina... «L’offerta mi è arrivata in un momento troppo delicato per la McDonald’s, non potevo lasciarla. Però mi sarebbe piaciuto andare agli Esteri». Che cosa avrebbe fatto? «Avrei continuato la missione di Berlusconi: orientare il sistema diplomatico a vendere e comunicare il "made in Italy". I capitali vanno dove si sentono sicuri e remunerati». Quando ha conosciuto Berlusconi? «Quando dovevo lanciare la Kenwood nei primi Anni Ottanta e mi affidai alle sue televisioni commerciali. Fu un grande successo e ne nacque una stima reciproca. Successivamente passai a fare il cacciatore di teste e per il gruppo del Biscione ho fatto molta selezione del personale». Un nome? «Franco Tatò. Nel 1984 convinsi Mario Formenton a prenderlo come amministratore delegato alla Mondadori e in seguito, insieme a Leonardo, convincemmo Silvio Berlusconi a farlo tornare al vertice del gruppo di Segrate dopo Corrado Passera». Perché gli Usa investono così poco in Italia? «E’ vero. Oggi gli Usa investono più in Portogallo o in Croazia che in Italia. I comportamenti umani sono alla base della percezione, e quella italiana non è positiva, ancora legata al passato. E questo perché non sappiamo comunicare. In Usa sono convinti che ci siano ancora barriere insormontabili». E non è più così? «Beh, certo che ci sono problemi, ma in linea con altri Paesi». Il Sud? «Secondo me sono tutti luoghi comuni. In Meridione ho aperto più di cento McDonald’s e non ho mai avuto problemi, nemmeno di sicurezza. Il vantaggio competitivo dell’Italia è enorme, ma non è espresso». Stock option, un disastro o una opportunità? «Così come sono state concepite si stanno rivelando un disastro. Perché si sono poste le premesse per destabilizzare l’uomo e il manager, creando i presupposti di insopportabili conflitti di interessi e portando i manager ad alterare la realtà aziendale, stressando il valore delle azioni nel breve termine. Senza contare gli arricchimenti personali e gli analisti che hanno portato ai grandi fallimenti americani. Ma le imprese devono vivere di grandi visioni, e quindi di lungo periodo». Cioè i manager devono essere pagati meno? «Ci vuole molto equilibrio, il mercato è distorto e infatti i benefici per le aziende non si vedono più. Se vuole guadagnare molto, l’unica strada è diventare imprenditore e rischiare in proprio». Ma lei non ha le stock option in McDonald’s. «Assolutamente no. Io sono socio al 20% con la filiale italiana sin dall’inizio. Siamo partiti insieme e abbiamo rischiato insieme. Sono orgoglioso di quest’avventura perché nel mondo McDonald’s ha accettato di avere come partner solo due persone, io e un giapponese». Si è parlato di una sua uscita dalla McDonald’s... «Non è vero. Con la vicenda della mucca pazza e del terrorismo il gruppo ha vissuto un periodo difficile. Il titolo è passato da 45 a 12 dollari e McDonald’s si è chiuso in difesa puntando sulla finanza e perdendo di vista il cliente. Ma adesso stiamo ripartendo con l’obiettivo di arrivare a mille ristoranti. Dal primo maggio è arrivato come nuovo direttore generale l’austriaco Karl Fritz. Cresceremo ancora».
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Roberto Bagnoli
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