13/10/2004 ore: 11:14
"Intervista" L.Gallino: «Un disastro, l’Italia da sola non ce la fa»
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l'intervista Luciano Gallino(sociologo del lavoro) «Un disastro, l’Italia da sola non ce la fa» «Le nostre imprese devono allearsi in Europa o anche in Cina per creare valore e occupazione» MILANO «L’industria va male perchè i salari sono bassi. È una delle cause, una delle principali». Il problema è il potere d’acquisto? «E quindi la domanda interna. Un problema grave, che peraltro hanno anche altri Paesi. Gli Stati Uniti innanzitutto». Però in altri Paesi, negli Usa come in Europa, quest’anno la ripresa è arrivata, più o meno corposa. Perchè in Italia no? «In Italia le strutture industriali sono deperite, e non vengono sostituite. Ormai è declinato quasi tutto, reggono giusto gli elettrodomestici e le macchine utensili. Tragico l’errore compiuto, poi, nel settore dell’auto, per inettitudine manageriale e incapacità politica. Francia e Germania negli ultimi tempi hanno puntato molto sull’auto, e ne hanno fatto un settore ancora trainante. Noi siamo rimasti sulla riva del fiume a guardare. Il risultato è evidente». Per Luciano Gallino, sociologo del lavoro, docente all’Università di Torino, il declino industriale italiano è un fatto ormai incontrovertibile. E l’unica strada possibile è quella di agganciare alleanze internazionali strategiche e molto robuste. Perchè le aziende italiane, da sole, non ce la fanno più. Prendiamo il caso Alitalia: dopo il risanamento, si può pensare ad un vero rilancio, magari a creare nuova occupazione? «Per Alitalia vale lo stesso discorso della Fiat. A questo punto, senza un’alleanza straniera di alto profilo non può reggere. Perde 1 milione di euro ogni 2,3 giorni, su questa strada fra tre mesi, sei al massimo siamo daccapo. Dopo i gravissimi errori commessi dall’azienda e dai vari governi, adesso è stato fatto quello che si poteva fare, ma la debolezza strutturale resta quella. Poi, per rilanciare l’Alitalia nella fattispecie, bisognerebbe chiudere Malpensa. Un altro errore clamoroso: nessun Paese si sogna di avere due hub internazionali, alla fine deboli entrambi». Dunque, il futuro delle e aziende in crisi passa attraverso la capacità di strinegere alleanze internazionali. «Innanzitutto bisogna pensare al risanamento. Altrimenti si fa la fine della Daewoo, comprata dalla General Motors per pochi dollari. E poi sì, bisognerebbe cercare in Europa parterns con cui internazionalizzare quel che resta delle grandi imprese». In Europa? «Io dico Europa, ma se l’Europa non c’è vanno bene anche gli indiani, i cinesi». Industria e Finanziaria: nella manovra non sembrano esserci sostegni di alcun tipo alle imprese. Concorda? «Il governo la politica industriale non sa che cosa sia. Il blocco delle spese al 2% significa che interi settori, già al limite della sopravvivenza, saranno ulteriormente privati di risorse». Non ci sono fondi nemmeno per ricerca e sviluppo. «L’Italia investe meno della metà della media europea, quindi dovrebbe passare dall’1,1% di oggi almeno al 2,5% se non al 3%. Visto lo stato della nostra economia, un salto inimmaginabile. Perlomeno, si potrebbe spendere meglio quel poco che c’è, invece di continuare con i fondi a pioggia. Non si sa su che cosa puntare, non si ha idea dei settori da promuovere e di quelli da lasciar cadere». E lei quali settori promuoverebbe? «La verità è che i treni sono partiti. Non avendo più grandi imprese che tirano con le loro commesse, è tutto più complicato. Persino il tessile è in crisi, dove pure il nostro vantaggio era molto ampio. Restano alcuni settori significativi, come l’aerospaziale, ad esempio. Piccolo, ma con notevoli punte di eccellenza. Però il problema è sempre quello: o creiamo alleanze importanti, oppure non abbiamo futuro». la.ma. |