"Intervista" L.Gallino: «Orari lunghi, sconfitta della globalizzazione»
Contenuti associati
Intervista all'economista Luciano Gallino: «Quanto accade in Francia e Germania rappresenta un regresso rispetto a una tendenza storica» |
«Orari lunghi, sconfitta della globalizzazione» |
Professor Luciano Gallino, stiamo assistendo a un fenomeno strano: è come se all'improvviso le lancette della storia si fossero messe a girare all'indietro. In Francia e Germania, paesi pionieri nell'adozione delle 35 ore, ci sono aziende che recentemente sono riuscite a imporre accordi ai sindacati per aumentare l'orario a parità di salario. Decisiva è stata la minaccia della chiusura degli stabilimenti e del trasferimento delle produzioni in Cina o in India. Che sta succedendo? Sicuramente siamo in presenza di un regresso, non soltanto rispetto alla legge francese e alle esperienze di alcune aziende tedesche ma rispetto alla tendenza storica alla riduzione dell'orario cominciata nel dopoguerra e che ha caratterizzato soprattutto gli anni '80. In 30-40 anni in Italia l'orario di lavoro annuo è sceso da 1900 a poco più di 1600 ore. Che adesso gli orari tornino a aumentare, per di più a salario costante, è chiaramente un regresso. Per di più c'è questa componente molto sgradevole che è l'alternativa: o si aumenta l'orario o si delocalizza, e quindi si perdono posti di lavoro. Un aut-aut che mi pare piuttosto brutale. Come questo possa essere presentato da qualcuno come una forma di modernizzazione mi sfugge, perché questa è chiaramente una inversione del progetto moderno.
Sicuramente questo è uno dei fattori che pesa in negativo per l'Italia, paese che paga il ritardo nell'innovazione tecnologica e di prodotto determinato dall'avere puntato tutto o quasi sulla riduzione del costo del lavoro. Ciò non vale tuttavia per Francia e Germania. Il problema, certamente serio, è che non solo la Cina ma anche l'India stanno cominciando a utilizzare tecnologie avanzate e prodotti innovativi. Quindi la loro concorrenza non riguarda più solo il costo del lavoro, anche se rimane la componente dominante. L'India è il primo produttore di software del mondo e anche di software sofisticato.
In Francia e Germania il costo del lavoro è superiore rispettivamente del 20% e del 40% rispetto a quello italiano. Nell'industria dell'auto tedesca i salari sono addirittura il doppio rispetto ai nostri. Un conto quindi è chiedere sacrifici a chi guadagna 2500 euro netti al mese, un conto è chiederli in Italia, dove il salario netto se va bene è di 1200 euro. Certo, bisogna ripensare l'intera questione sul piano mondiale, anche se è difficile. Qui sicuramente siamo di fronte a un regresso storico e siamo anche di fronte alla sconfitta della globalizzazione.
La globalizzazione doveva portare crescita economica per tutti, incrementi diffusi dei salari, aumento del'occupazione. E invece sta producendo il contrario, ha creato un mondo sempre più disomogeneo, contraddittorio, polarizzato.
Tra la globalizzazione come processo economico e i suoi effetti ci sono due grandi variabili: le condizioni storiche di partenza e l'intervento dello Stato. Quando si sostiene che non si può procedere a attività redistributive, che bisogna sacrificare la scuola, la sanità, la cultura alla competitività, allora la colpa di quanto accade è delle dimissioni dello Stato davanti alle sfide della globalizzazione. In Italia dobbiamo pensare a redistribuire diversamente i benefici derivati dalla crescita economica. Non certo con una riforma fiscale come quella prevista dal governo italiano, che sposta ulteriormente quote di prodotto interno lordo dai salari ai profitti e alla rendite. Roberto Farneti |