5/7/2007 ore: 10:42

"Intervista" L.Dini: «Per me il governo può pure cadere»

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    giovedì 5 luglio 2007

    Pagina 7 - Primo Piano

    Intervista
    Lamberto Dini
      “Per me il governo
      può pure cadere”
        ANTONELLA RAMPINO
          ROMA

          «Non riescono a stare in piedi? E allora cadano... Sa come si dice a Roma? Morto un papa, se ne fa un altro». S’infervora Lamberto Dini, in chiusura di una conversazione che pure era iniziata anche peggio, con un messaggio da recapitare a Franco Giordano e a Romano Prodi: «Non c’è solo la sinistra che pone veti: io la cancellazione dello scalone non la voterò mai». Ieri, Dini era l’uomo del giorno, poiché al suo nome alludeva, per l’ennesima volta, Silvio Berlusconi in campagna acquisti nel campo dell’Unione.

          L’ex premier dice che c’è un senatore, a suo tempo alta carica istituzionale, pronto a passare con la Cdl. Manca solo che Berlusconi faccia il suo nome e cognome, presidente Dini...
            «Berlusconi fa la politica che gli è propria. Dice che ci sono quattro senatori pronti a passare con l’opposizione. A me non risulta, ma se lo dice avrà le sue ragioni. Vuol trovare il modo per far cadere il governo il prima possibile, in Senato».

            E’ una smentita? Lei non sarebbe tra i transfughi?
              «Io desidero che il governo Prodi continui. Abbiamo perso molti consensi, per andare avanti dobbiamo rimetterci a lavorare nell’interesse del Paese. Non ascoltare l’estrema sinistra o il ministro Damiano. Non solo io, ma un certo numero di senatori non seguiranno questa linea. Io su provvedimenti specifici che non siano nell’interesse del Paese voto contro. Quello di Damiano è un pastrocchio che cancellerebbe la legge Maroni sostituendola con un piccolo scalino che servirebbe solo ad aggravare pesantemente i costi del sistema negli anni a venire. Sa quanto costa l’abolizione dello scalone? Nel 2008 4,5 miliardi e a regime dieci miliardi all’anno. Una cosa che va a vantaggio di pochi, mettendo in difficoltà il bilancio dello Stato e togliendo spazio ad altre misure, anche di carattere sociale, e caricando costi sulle spalle delle giovani generazioni».

              Lei dice di volere che il governo continui a lavorare. Ma Prodi è tra due fuochi. Rifondazione da una parte, e lei, presidente Dini, dall’altra. Così non solo il governo non andrà avanti, ma si rischia una crisi parlamentare.
                «Dobbiamo sempre sottostare al ricatto della sinistra, che esprime a dir tanto il 20% degli italiani? Dobbiamo ancora essere vittime delle ideologie dell’Ottocento? Noi siamo l’80% del Paese. Come si può accettare che il governo difenda 120 mila persone a danno di tutti gli altri? La stabilità del governo è un bene, ma non da preservare a ogni costo se l’azione del governo non mira a tutelare l’interesse generale».

                Non è un rischio anche che il governo, sotto il tiro di veti incrociati, sia ridotto all’immobilismo, per non cadere in Parlamento?
                  «Certo che l’immobilismo è un grande pericolo, tanto che paghiamo prezzi pesantissimi in termini di mancanza di consensi. Prenda la Finanziaria del 2007: l’obiettivo giusto di Padoa Schioppa era riportare il disavanzo sotto il 3%, ma per non scontentare gli estremisti non si è cercato in nessun modo di ridurre la spesa, ma solo di aumentare le entrate. E adesso dove siamo?».

                  C’è uno sfondo più prettamente politico a tutto questo? I primi vagiti del Partito Democratico invece di rafforzare Prodi lo indeboliscono?
                    «Guardi, il Pd crescerà solo se il governo Prodi farà bene. Al punto in cui siamo, il destino del governo deve essere separato da quello del partito nuovo. Anche come programmi. Quello enunciato da Veltroni a Torino, e nei due congressi di Quercia e Margherita, è un programma riformista. Il governo Prodi non lo è, e ci danneggia. Mi auguro che Prodi e Padoa Schioppa riflettano, che abbiano uno scatto di orgoglio, che decidano. Prodi sa benissimo di cosa ha bisogno l’Italia, e non lo fa solo per preservare la vita del governo».

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