22/9/2006 ore: 12:02

"Intervista" L.Del Vecchio: «Imprenditori senza coraggio»

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    venerd? 22 settembre 2006

    Pagina 15 - Economia
      l?intervista
        ?Imprenditori senza coraggio
        preferiscono rendite e ville?
          Del Vecchio: ma il made in Italy che rischia ha un futuro

          Parla il patron di Luxottica, leader mondiale negli occhiali
          "Dai piccoli ai grandi, nessuno tira fuori un euro di tasca propria"
          non comprai telecom
          Mi proposero di acquistarle al doppio di ci? che valgono ora. Ho detto: scordatevelo. Quando si compra a prezzi esagerati l?azienda si rovina
          vincevano sempre le coop
          L?avventura nella Sme? Trattavamo con i Comuni per avere le licenze dei supermercati, ma alla fine vincevano sempre le Coop
          Crescita in italia e in cina
          Vi dimostro che si pu? aumentare la produzione in entrambi i Paesi. In Cina ci siamo gi? da 10 anni, in Italia rester? l?alta qualit?

          DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

          Federico Rampini
          PECHINO - A 71 anni e avendo nominato alla testa del proprio impero un amministratore delegato che ne ha trenta meno di lui, Leonardo Del Vecchio dice di volersi "godere la vita, leggere, perfezionare l?inglese". In realt? ? a Pechino per lanciare il potenziamento della sua rete vendita cinese: 270 negozi destinati a diventare migliaia entro pochi anni. Domani sar? a Dongguan nel Guangdong dove ha tremila operai che producono otto milioni di paia di occhiali all?anno. Del Vecchio non ? solo uno degli uomini pi? ricchi - e pi? discreti - d?Italia. Il leader mondiale nel design, produzione e distribuzione di occhiali ? anche l?antitesi di alcuni stereotipi sul nostro capitalismo nazionale: cio? il nanismo congenito delle nostre imprese, l?incapacit? di diventare globali, l?intreccio con la politica. La sua storia dimostra che si pu? credere nel capitalismo familiare - lui conserva il controllo di Luxottica con il 69% del capitale - e al tempo stesso comportarsi come una public company: non solo si quot? al New York Stock Exchange (nel 1990) dieci anni prima che a Milano, ma ha retto la prova pi? recente della Sarbanes-Oxley, la severa normativa sulla trasparenza imposta alla Borsa americana dopo lo scandalo Enron. In realt? non aveva bisogno di quotarsi, "ma il mercato non mente, i suoi segnali sono importanti per capire se faccio degli errori". E? in nome di questo rispetto per il mercato che Del Vecchio declin? l?invito a entrare nella cordata dei Tronchetti e Benetton quando gli offrirono di scalare la Telecom con loro. ?Si trattava di comprare i titoli Telecom a 4,17 euro, una quotazione che l?azienda non ha mai raggiunto in Borsa, quasi il doppio di quel che vale oggi. Io dissi: scordatevelo. E? una regola che purtroppo si avvera sempre: quando si compra a prezzi esagerati le conseguenze sono deleterie e le paga l?azienda stessa. Anzitutto perch? il primo obiettivo dell?acquirente diventa quello di ridurre i debiti e quindi la gestione viene subordinata a priorit? di tipo finanziario, non industriale. E poi perch? questo determina una debolezza di cui approfittano i concorrenti?.

          Allarme-irizzazione o paura che venga fatta a pezzi e venduta all?estero, la vicenda Telecom suggerisce un esame dei limiti del capitalismo italiano. Oggi sembrano non esistere grandi imprenditori disposti a rischiare in proprio. Si cerca il potere, un ruolo di comando, magari anche una visibilit? e un?influenza politica, sempre con i soldi degli altri.
            ?S? ma la correggo sulle date: questo non ? un difetto di oggi. Il capitalismo italiano delle grandi famiglie ? sempre stato cos?. Quello vecchio non era migliore. Le dinastie non hanno mai tirato fuori una lira di tasca propria per le aziende. Non difendo quelli di oggi, dico solo che prima non si stava meglio. I percorsi biografici da veri industriali scarseggiano?.

            I piccoli imprenditori non sono molto meglio. In America si nasce piccoli, magari inventando un nuovo prodotto nel garage di casa, per poi diventare Microsoft o Hewlett-Packard in una sola generazione. Da noi la micro-dimensione sembra una vocazione.
              ?Spesso anche i piccoli imprenditori italiani non reinvestono nella loro azienda. Il mio Veneto non ha grandi imprese eppure c?? una notevole ricchezza diffusa. Il guaio ? che appena arrivati a una certa soglia di successo molti preferiscono mettere i capitali nella villa in Sardegna e nella rendita finanziaria. Poi c?? la malattia dell?individualismo. Ricordo ancora quando ero sul punto di acquistare un mio concorrente: sembrava d?accordo su tutto, all?ultimo momento ci ripens? perch? preferiva essere numero uno di un?azienda pi? piccola anzich? partner e azionista di un gruppo molto pi? grande. Non ? con una cultura di questo tipo che si costruisce la Unilever?.

              Lei ha avuto un?avventura nella "diversificazione" che l?ha portata a contatto con le grandi imprese dei servizi, e ha potuto osservare alcuni intrecci fra lo Stato e l?economia. Fu quando acquist? la Sme insieme ai Benetton. Che ricordo conserva?
                ?Fu un affare finanziario, concluso cinque anni dopo con la cessione ai francesi della Carrefour. Sia io che Benetton eravamo giunti alla conclusione che non volevamo dedicarci a un?attivit? in cui bisogna continuamente negoziare con i Comuni le licenze di costruzione degli ipermercati, i permessi per il cambio di uso dei terreni. Succedeva che per due, tre anni trattavamo con un Comune. Concedevamo tutto quello che chiedevano: costruzione di scuole, verde pubblico, servizi sociali. Tutto a posto, eppure alla fine la licenza ci veniva negata. E in seguito il terreno se lo prendevano le Coop. Noi non abbiamo mai voluto scendere sul terreno dei rapporti con la politica. Ma non si pu? rimanere immacolati nuotando in uno stagno torbido. Allora bisogna lasciare?.

                Lei si ? salvato scegliendo dall?inizio un?orizzonte globale: su 5 miliardi di euro di fatturato solo il 4% delle vendite di Luxottica sono sul mercato italiano. Ma la sua scommessa regge di fronte alla Cina? Il Guangdong ? il nuovo distretto mondiale degli occhiali, soppianta il Cadore. La Cina fabbrica 300 milioni di paia di occhiali all?anno.
                  ?Infatti noi ci siamo gi? da dieci anni, prima come produttori poi anche come distributori. Abbiamo capito che l?Italia ci stava stretta all?inizio degli anni Settanta: siamo andati in America e dieci anni dopo realizzavamo l? il 70% del fatturato. Dopo l?America, la Cina ? la nostra nuova frontiera. L?espansione asiatica non va a scapito del made in Italy, al contrario. Negli ultimi dodici mesi abbiamo raddoppiato le fabbriche nel Guangdong e al tempo stesso abbiamo assunto altri mille dipendenti in Italia?.

                  Davvero in Italia si pu? difendere nel lungo termine anche una vocazione manifatturiera, i mestieri della produzione?
                    ?Noi siamo la prova che il made in Italy ha ancora un bel futuro davanti a s?. Nei prossimi anni avremo bisogno di aumentare sia la produzione in Italia, sia in Cina. Nel Guangdong fabbrichiamo gli occhiali che nei negozi si vendono sotto i cento euro. Ma in Italia continuiamo a produrre il 75% del totale, in Cina il 25%. La produzione di fascia alta e altissima deve restare in Italia. Io sono venuto qui a Pechino per inaugurare il nostro primo negozio LensCrafter, la rete vendita di maggior prestigio. Ho visto i numeri della nostra rete cinese: per il 95% qui vendiamo made in Italy. Il consumatore cinese vuole il meglio. Invece gli occhiali prodotti qui li mandiamo in America per coprire fasce di domanda diverse. Perci? le confermo che vedo un futuro per l?Italia anche nel mestiere industriale?.

                    Come fa a essere sicuro che il made in Italy conserver? queste caratteristiche di maggiore qualit?? Non rischiamo di scoprire un giorno che i cinesi, o altri, ci raggiungono anche nella fascia alta?
                      ?Il primato dobbiamo meritarcelo ogni giorno, ? una conquista costante fatta di perfezionismo, ossessione per la qualit?, investimenti nella ricerca?.

                      Perfino negli occhiali ? importante la ricerca?
                        ?Gli occhiali sembrano un oggetto semplice ma sono per il 50% estetica e per il 50% alta tecnologia. E? un accessorio che teniamo sugli occhi anche 12 o 18 ore al giorno, perci? la calzabilit? e la robustezza devono fare progressi continui. Noi da una parte investiamo nell?estetica di lusso con le licenze dei pi? grandi stilisti italiani e mondiali e con il nostro marchio Ray-Ban. Dall?altra lavoriamo in collaborazione con i Politecnici di Milano e Torino e con l?universit? di Padova nella ricerca sui materiali pi? sofisticati come le nuove plastiche. Per risolvere un problema annoso come quello della vitina che si allenta e rende la montatura meno stabile - l?antico tormento di tutti gli ottici - siamo andati fino in Giappone a inventare una soluzione a base di iniezioni di teflon?.

                        Alle imprese italiane di dimensioni medio-piccole che vengono a scoprire la Cina qualche consiglio darebbe?
                          ?Noi siamo venuti qui per fare investimenti di lungo periodo con lo stesso spirito con cui pi? di trent?anni fa sbarcavamo in America. Possiamo permetterci questo impegno anche per la nostra solidit?: il modello aziendale Luxottica ? il contrario di tutto quello che insegnano nelle Business School, ma con l?integrazione verticale che ci d? il controllo della rete distributiva noi ci sentiamo tranquilli e padroni del nostro destino. Agli altri devo dire di stare attenti perch? pi? ci si allontana da casa pi? cresce la dimensione dei rischi, e in Cina si pu? anche inciampare?.
                            (3 - continua)

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