"Intervista" Il ministro Damiano replica a Cgil, Cisl e Uil
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mercoledì 5 dicembre 2007
Pagina 2 e 3 - Economia
L'Intervista
Il ministro replica a Cgil, Cisl e Uil: hanno ragione, ma non stiamo alla finestra
Damiano: "Ci siamo già mossi adesso tocca agli industriali"
ROBERTO MANIA
ROMA - «Ho passato una vita a organizzare scioperi e cortei quando la strada del dialogo e del negoziato si era esaurita. Ma come ministro mi sono dato una regola: non partecipare ad alcuna manifestazione di piazza». E se non fosse per questa regola personale, Cesare Damiano, ministro del Lavoro, avrebbe buone ragioni per aderire al minacciato sciopero dei sindacati. Perché non c´è un tema, tra quelli sollevati da Cgil, Cisl e Uil, che Damiano, ministro pd e per trent´anni sindacalista Cgil, non condivida.
Eppure i sindacati sono a un passo dallo sciopero generale contro un governo di sinistra che ha la sua base sociale tra i lavoratori dipendenti. Dove avete sbagliato?
«Premetto che il confronto tra il governo e le parti sociali non si è mai caratterizzato secondo la logica del governo amico. Chi ha dato quella lettura lo ha fatto senza guardare la realtà. Ciascuno ha agito in autonomia, interpretando il proprio ruolo. Altrimenti non si spiegherebbe la fatica con la quale si è costruito nel corso di un anno il protocollo sul welfare».
Non avete sottovalutato la cosiddetta "questione salariale", distratti dall´abolizione dello scalone pensionistico?
«No. Il governo, nel momento in cui ha fatto "rinascere" il metodo della concertazione, ha scelto la strada del dialogo anziché quella della contrapposizione o delle decisioni unilaterali. Abbiamo condiviso con i soggetti sociali le priorità: dal superamento dell´iniquo scalone pensionistico, al sostegno al reddito delle fasce più deboli della società. C´è da completare quella che - se andrà in porto - può essere definita la più grande operazione di sostegno allo stato sociale degli ultimi decenni».
Allora è immotivata la protesta di Cgil, Cisl e Uil?
«No, ma sappiamo anche noi che l´emergenza salariale si è acuita negli ultimi tempi. Resta il fatto che le cose per farle bene vanno fatte una alla volta».
È un´emergenza che il governo non ha ancora affrontato. Perché?
«Guardi che le cose stanno in modo diverso. Se i contratti si rinnovano con un anno in media di ritardo è chiaro che le retribuzioni perdono potere d´acquisto».
Allora perché il governo non interviene, con una moral suasion o con una mediazione, anziché stare alla finestra?
«Non stiamo alla finestra, ma non possiamo sostituirci, se non richiesto, alle parti sociali. Per il contratto dei giornalisti abbiamo fatto di tutto, ma gli imprenditori hanno mantenuto una posizione inflessibile».
Le ricordo che sono scaduti anche i contratti pubblici e che nella Finanziaria non ci sono le risorse necessarie.
«Infatti il governo dovrà affrontare il tema della dotazione delle risorse per i contratti pubblici. Ma dovrà partecipare anche al tavolo sulla riforma della contrattazione».
Quali sono le sue proposte?
«Riportare la durata dei contratti da due a tre anni, creare maggiori vincoli per rispettare i tempi dei rinnovi, fissare un´inflazione programmata il più vicino a quella reale, incentivare la contrattazione decentrata».
I sindacati chiedono iniziative anche sul fisco. Qual è la sua ricetta?
«Bisogna ridurre la pressione fiscale sulle buste paga. Ci sono due strade: cambiare le aliquote Irpef o restituire il fiscal drag. Deciderà il negoziato».
Lei, intanto, è entrato nel mirino di Bertinotti che ieri a Repubblica ha detto: "Ridateci Donatt Cattin".
«E io potrei dire: Ridateci Pietro Ingrao! No, non credo che la politica si faccia con le battute. Penso che il giudizio di Bertinotti sul governo sia profondamente sbagliato ingeneroso. Ancora volta si corra il rischio di disarmare il popolo della sinistra, mentre di questi risultati sociali dovremmo essere orgogliosi. Prodi sta lavorando bene».
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