9/1/2006 ore: 11:38

"Intervista" G.Sapelli: Coop bianche e rosse insieme

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    sabato 7 gennaio 2006

    Pagina 6

    L'Intervista
    a Giulio Sapelli
      Secondo lo storico dell’economia l’unità gioverebbe al pil e alla politica, nell’autonomia rispetto ai partiti
        Coop bianche e rosse insieme: una bella idea per il Paese
        di Oreste Pivetta / Milano
          Il presidente di Confcooperative, Marino, dice di coltivare un sogno: unire cooperative bianche e rosse. Il presidente di Legacoop, Poletti, risponde che l’unità è un bene per il quale va pena di impegnarsi a lavorare... Che ne pensa Giulio Sapelli, storico dell’economia? «Sarei favorevole, purchè l’operazione non si voglia caricare di significati antipolitici. Sarebbe un modo per uscire dalla crisi con uno scatto in avanti».
            Professor Sapelli, però pare che all’ordine del giorno stia un’altro tipo di unità: quella tra cooperative e banche, tra cooperative e azionariato privato. Matrimoni strani, ibridi...
              «Non nascondiamoci... Tutta l’esperienza storica del movimento cooperativo mondiale, soprattutto quello attivo nei paesi capitalisti più avanzati, Germania Nord America e pure Italia, dimostra che si vanno diffondendo, oltre il tradizionale consorzio cooperativo (oltre cioè l’alleanza tra cooperative), società miste, cooperative e di capitali, di azionariato cooperativo e di azionariato privato, per la necessità di raggiungere una certa dimensione o di intraprendere attività che per loro natura chiedono la quotazione in borsa... Come non possono le cooperative, società di persone e non di capitali, con la conseguenza che vi deve essere corrispondenza tra ogni azione e ogni persona, che il profitto deve essere indivisibile, che una simile società non può essere esposta alla contendibilità del mercato... Il primo esempio d’impresa mista venne dalla Spagna di Franco, anni sessanta, e il salto lo azzardò il consorzio Mondragon, cattolico. Unipol ha ripetuto la stessa strada».
                Una strada più che lecita, dunque, oltre che consolidata?
                  «Da percorrere ovviamente, per coerenza con la cultura d’origine, rispettando criteri di trasparenza britannica, sviluppando i cosiddetti controlli interni... Come in Italia prevede la legge 231 sulla responsabilità penale dell’impresa. Come non sempre succede, per la semplice ragione che non c’è separazione tra proprietà e amministrazione. Questo è il problema. Altro che star qui a rimpiangere il buon tempo antico, la povertà e gli ideali di una volta».
                    Senta, professore, proprio Marino, presidente di Confcooperative, sognando l’unità pone a Legacoop una condizione: «Tagliare il cordone ombelicale con i Ds».
                      «L’essenza della cooperazione è il mutualismo, cioè cooperarare sulla base di ragioni ideali. Le ragioni ideali non possono essere che la religione o la politica. Ci possono essere cooperative buddhiste, cooperative cattoliche e ce ne sono tante islamiche. Ce ne possono essere altre il cui fondamento è l’appartenenza politica. Vanno bene tanto la religione quanto la politica, purchè la politica o l’ideologia religiosa non creino un sistema tribale di commistione tra la gestione e gli ideali. Se la commistione esistesse, allora cadrebbe anche la trasparenza».
                        Politica che è altra cosa dai partiti...
                          «Infatti ho parlato di tribu e di tribalismo. Dal punto di vista di una cooperativa che voglia rispettare la sua natura, anche nel momento in cui cerca l’alleanza con l’impresa privata, il primo dovere è scegliere buoni compagni di strada e rifiutare di accoppiarsi con imprese eticamente indifferenti e oscure, accoppiarsi invece con chi vuol creare profitto e non solo gestire una rendita, con chi crede che l’impresa possa essere rinnovata, modernizzata, migliorata nel rispetto di principi etici. Essere riformisti significa anche sapersi scegliere gli alleati giusti e saper riconoscere d’aver sbagliato alleanze...».
                            Mi pare che stia alludendo a Unipol. Che cosa pensa della scalata a Bnl?
                              «Aspetto semplicemente il giudizio della Banca d’Italia. Non c’è niente di strano nella scalata di Unipol a Bnl. Ci sono infiniti casi di opa esercitati dai piccoli nei confronti dei più grandi. Le condizioni per chi scala sono la disponibilità di grandi risorse finanziarie e la grande capacità manageriale. Nel caso di Unipol, valuteranno gli organi di vigilanza. Mi permnetto di dubitare che le condizioni esistano. Giudico con spirito laico. Forse sarebbe stato meglio rivolgersi verso altre avventure».
                                Come potrebbe rispondere quindi la Banca d’Italia?
                                  «Risponderà no»
                                    Che succederà allora?
                                      «Monte dei Paschi e Unipol torneranno a lavorare insieme».
                                        E l’unità delle cooperative...
                                          «Vorrei aggiungere che le divisioni di un tempo non hanno più senso, che infine a unità raggiunta l’impresa cooperativa metterebbe assieme il dieci per cento del pil. Talvolta l’unità è già stata firmata: la Granarolo ne è la dimostrazione. Un movimento cooperativo unito avrebbe la forza per emanciparsi dal partitismo.Senza per questo doversi inventare una nuova bandiera dell’antipolitica. Credo che vi sia bisogno ancora di qualcosa che viva degli ideali del riformismo cattolico e spocialista, se si vuole rilanciare una aggiornata e grande idea di riformismo, per partecipare davvero di una politica alta...».

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