26/1/2004 ore: 10:19

"Intervista" G.Roma (Censis): Lo stipendio non basta, si compra a rate

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domenica 25 gennaio 2004
Lo stipendio non basta, si compra a rate

Il direttore del Censis: per far quadrare i conti il ceto medio riscopre vecchie strategie
      Ceto medio in crisi profonda: mette mano ai risparmi, rivede al ribasso i consumi, pianifica le spese. Una volta c’era il libretto su cui il panettiere segnava il conto: alla fine del mese si tiravano le somme e si pagava. Adesso si compra a rate, versione modernizzata di quell’Italia del libretto e della cambiale. C’era il venditore porta a porta del folletto, del frullatore, delle creme di bellezza. «Adesso le vendite a domicilio, con il passa-parola degli amici, stanno riprendendo quota, tipica strategia anni Sessanta per integrare uno stipendio che non basta più», riflette Giuseppe Roma, direttore generale del Censis.
      Non è un bel segnale.
      «Sono strategie di adattamento di una società che vive il benessere. Chi ha fra i 28 e i 38 anni, anche se precario, oggi finisce per guadagnare di più del classico stipendiato, perché la precarietà crea vitalità; chi sta fra i 40 e i 50, o fa il salto e si sposta in un’area del Paese che offre maggiori opportunità, oppure s’inventa un secondo lavoro da affiancare al primo. Dai 50 in su, invece, le cose si complicano: il ceto medio vecchio stile ha la vita dura».

      Come difendersi?

      «Comprando in modo diverso. Magari si sceglie di fare l’abbonamento a Sky e non allo stadio, perché costa meno. Oppure si va all’
      outlet e si acquista lì l’abbigliamento per tutto l’inverno. O, ancora, si torna a utilizzare il mezzo pubblico per risparmiare sulla benzina come negli anni Sessanta. Non tutto è negativo. Stiamo perdendo un po’ dello stupido consumismo del passato e, soprattutto, cominciamo a ragionare in modo diverso. Per esempio: quante famiglie inglesi ospitano i nostri figli durante le vacanze? Lo fanno non perché sono poveracci, ma perché pensano che possa essere un’utile integrazione del reddito. Farlo anche noi è intelligente».
      Altri modi per integrare?

      «Ingegnandosi, andando a comprare allo spaccio aziendale e poi rivendendo alle amiche. E’ il ceto medio creativo, accanto al quale continua ad esserci l’impiegato che fa a tempo perso l’amministratore di condominio. Siamo meno piagnucolosi, forse più veri: se non ci sono i soldi, non si fa finta di andare in vacanza, come succedeva anni fa. Si compra sempre più spesso a rate: nel 2003 la crescita è stata del 19%, anche se l’indebitamento delle famiglie italiane è ancora lontanissimo dal livello raggiunto dagli americani. C’è un processo in atto, che psicologicamente viene affrontato con una maggiore consapevolezza collettiva. Il confronto con l’Europa ci ha aiutato, mostrandoci un modello di vita più austero del nostro. L’italiano che va a Parigi si accorge che, in fin dei conti, siamo vestiti meglio di loro».

      E la precarietà?

      «Il ceto medio sta perdendo alcune certezze che l’hanno fatto diventare ceto: la sicurezza del lavoro, della pensione e dell’abitare. Oggi c’è rimasta solo l’ultima, non perché il lavoro sia diventato precario, ma perché quello sicuro è meno remunerativo di quello incerto. Una volta c’era un ceto medio impiegatizio ampio e privilegiato, oggi invece chi è più precario e si dà fare, ha più risorse. Il ceto medio deve tornare a rischiare».
      Chi rischia?
      «Cominciano a farlo in tanti. C’è più disponibilità, per esempio, a cambiare città, a barattare una carriera insoddisfacente in una multinazionale di Roma o Milano con una carriera in una piccola impresa, magari del Trevigiano, scommettendo su una posizione migliore. Qualche anno fa non lo avrebbe fatto nessuno».
Daniela Monti


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