"Intervista" G.Epifani: «Sì alle banche nelle tlc»
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venerdì 16 marzo 2007
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Intervista a Guglielmo Epifani (Cgil)
«Sì alle banche nelle tlc»
Salvano l'italianità - Il terzo polo bancario? Generali-Mediobanca
di Alberto Orioli
Bene le banche se difendono l'italianità della Telecom. bene Generali-Mediobanca fuse insieme, con il Leone a fare da pivot. Bene se Capitalia si avvicina all'UniCredit. Bene anche la governance duale a cominciare da Mediobanca. Non sembra ma è la parola di un sindacalista. Del primo sindacalista d'Italia: Guglielmo Epifani, 56 anni, segretario generale della Cgil. Che racconta la svolta verso una materia, la finanza, che fino a qualche tempo fa nel sindacato era considerata tabù.
Le banche in Telecom. Con quale ruolo?
Prima vorrei dire che il possibile quinto cambio di proprietà a Telecom dimostra che in questo caso la privatizzazione non ha prodotto un effetto positivo. Per un'azienda che deve stare su mercati molto concorrenziali è un fatto insostenibile. Questo assetto instabile dimostra che per troppo tempo si sono fatti i soldi su Telecom invece che mettere i soldi in Telecom. Tornando alle banche credo che possano avere un ruolo che può aiutare. Non mi scandalizzo. Fino a quando non ci saranno capitali e investitori italiani in grado di entrare in gioco ben vengano le banche. Del resto accade in Spagna, in Germania. Due esempi molto diversi ma simili quanto a ruolo del sistema creditizio nel sostegno all'impresa strategica nazionale. Il problema però è che le banche non possono fare gli imprenditori, possono aiutare un processo come nel caso Fiat, ma non possono fare il mestiere dell'imprenditore.
E quali banche, secondo lei, dovrebbero giocare questa partita?
Quelle disponibili a farlo, a partire dagli istituti presenti già ora nel patto di sindacato della Pirelli.
Pensa a Mediobanca?
Certo. In questo caso potrebbe agire come azionista già in essere.
Il caso Fastweb e l'Opa svizzera. Un altro caso di italianità non difesa?
Non è obbligatoria, naturalmente, avere una proprietà italiana. Però credo sia legittimo che un Governo si interroghi sul perché non ci sono capitali e investitori nazionali pronti a scendere in campo. E il paradosso è che i capitali esistono ma non si riesce a coagularli. Tra l'altro Fastweb passa sotto il controllo di un'azienda svizzera con forte presenza pubblica e di pari dimensioni.
Ha smentito un interessamento, ma se a scendere in campo fosse Mediaset lei che direbbe?
Fastweb era un'azienda scalabile. è sotto scalata. I mercati diranno se il prezzo d'Opa era giusto o no. Quanto a Mediaset, credo che se volesse potrebbe intervenire, ma temo che sull'azienda continui a pesare il problema del conflitto di interessi, il ruolo di Berlusconi. Che rischia oggi di diventare di ostacolo allosviluppo delle sue stesse aziende.
Chi in questo momento è predatore è l'Enel. Come valuta la partita con Endesa?
Nei prossimi giorni incontreremo i vertici dell'Enel. È importante che cresca nel mercato internazionale. L'operazione spagnola se avrà successo sarà molto importante. Anche quella francese con Suez aveva un senso industriale e strategico, ma lì l'Enel e stata fermata da un blocco di veri interessi nazionalistici tanto che, alla fine, si è andato a fondere chi non aveva interessi industriali a farlo. Ora si tratta di capire se, alla fine, una quota di Endesa sarà scorporata per confluire in Enel o se l'Enel diventerà il maggiore azionista di tutto il gruppo e possa agire da player globale con dimensioni ancora più grandi: ma è ancora tutto aperto.
In questi giorni è aperta un'altra partita: quella su mediobanca. Che porta al tema dell'assetto finale per le Generali. Anche lei si schiera per la difesa dell'italianità?
Direi di sì. Il problema è congegnare una strategia che valorizzi al massimo gli asset del Paese. In questa fase sono stati creati due grandi poli bancari italiani con vocazioni diverse e in un certo qual modo complementari. Nel mezzo credo che ci sarebbe lo spazio per un terzo polo di matrice fortemente assicurativa che possa vedere una integrazione stretta tra mediobanca e le Generali con un ruolo di pivot da affidare alla Compagnia di Trieste. Le Generali finora sono state un gigante perennemente in equilibrio instabile e a sviluppo lento. Si ha la sensazione che non sappia sfruttare al meglio tutto il suo potenziale che, tra l'altro, potrebbe anche guardare al mercato internazionale.
E Capitalia?
Non ci sono molti scenari: o entra in rapporto con Unicredit. O finirà per essere polverizzata nell'eventuale operazione Mediobanca-Generali.
Lei quale preferisce?
Vedrei meglio un futuro con Unicredit. Nell'altro caso Capitalia e Mediobanca avrebbero un ruolo preminente rispetto a Generali: così come non consideravo convincente il modello di banca-assicurazione sottostante all'operazione Bnl-Unipol così oggi non valuterei ottimale il triangolo Mediobanca-Capitalia-Generali.
Perché un sindacalista come lei oggi si occupa di risiko bancario?
Perché innanzitutto abbiamo interesse a valorizzare il nostro lavoro. Se difendiamo la presenza italiana nei settori strategici difendiamo il lavoro di qualità (ricerca, marketing, strategie commerciali, innovazione), altrimenti nel caso contrario il lavoro italiano perde qualità e peso. Credo poi che questo nostro interesse possa contribuire a rendere più stabile la crescita del Paese. Non è un caso che stiamo parlando del settore dei servizi. Abbiamo parlato di declino industriale per anni e ora la ripresa in atto è proprio frutto del riscatto del manifatturiero. Il problema italiano adesso sono i servizi: sono due terzi del Pil, sono destinati a crescere e rappresentano, in vaste aree, anche sacche di spaventosa inefficienza, basti pensare ai trasporti e all'assenza di politiche di sistema.
Spesso però il sindacato è parte in causa, un co-autore delle inefficienze dovute anche a rigidità di normative contrattuali a conflittualità esasperata e flessibilità zero.
Ma spesso è proprio l'assenza di politiche di sistema e di riforme che genera conflittualità e fa proliferare corporativismi. Per quanto riguarda la flessibilità, questa è una stagione in cui quasi dappertutto si fanno accordi che tengono conto delle esigenze dell'impresa e quelle del lavoro.
Torniamo alla svolta della Cgil sulla finanza.
Di fronte a un mondo in cui il peso della finanza è più forte e determina il futuro degli asset strategici del Paese per forza dobbiamo interessarci a questi temi. In alcuni settori, come quello del credito ma non solo, abbiamo sempre posto grande attenzione alla lettura dei bilanci delle società. È un fattorr di democratizzazione dell'economia perché, accanto ai meccanismi di regolazione dei mercati ai ruoli delle authority, alla trasparenza delle informazioni, avere anche un sindacato che studia, si interroga, critica (quando serve) è un contributo rilevante alla trasparenza del confronto pubblico su dati che si tenderebbe a tenere riservati o a leggere in modi unilaterali. Occuparsi di questi temi porta a nuove strade attraverso le quali sindacati e imprese possono trovare nuovi spunti di confronto nell'interesse dell'occupazione, dello sviluppo delle imprese e del Paese.
Che ne pensa della discussione sulla cosiddetta governance duale delle società?
È un tema che stiamo studiando
Un tempo la "partecipazione" era il cavallo di battaglia della Cisl e 20 anni fa Benvenuto voleva entrare nei consigli di amministrazione...
Non ho pregiudizi verso la governance duale. Credo che ci possano essere spazi anche per il sindacato. Non penso a una rappresentanza diretta, ma magari indiretta.
Insomma, vorrebbe Cusani, l'ex finanziere che ora fa da consulente anche alla Cgil, nel consiglio di sorveglianza di Mediobanca?
Senza farsi illusioni eccessive, non c'è dubbio che una sorveglianza che coinvolgesse più soggetti e interessi renderebbe più aperta e trasparente una funzione essenziale nel governo delle grandi imprese del settore finanziario.
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