"Intervista" Damiano: «Salari più alti dove cresce la produttività»
 |
mercoledì 31 ottobre 2007
Pagina 23 - Economia
Intervista Cesare Damiano
“Salari più alti dove cresce la produttività”
STEFANO LEPRI
ROMA A Torino i metalmeccanici hanno costruito un «muro del pianto» affiggendo magre buste paga; e domandano «dove si sono nascosti» Prodi e il ministro del Lavoro Cesare Damiano, ex sindacalista dei metalmeccanici. Ministro Damiano, dove si è nascosto?
«Sono al mio posto, e se si guarda senza demagogia ai provvedimenti che questo governo ha preso l’impronta sociale è evidente. Per esempio con gli accordi sui call center abbiamo dato un posto fisso a 22 mila giovani, il 70% donne. C’è il protocollo sul welfare...».
Oggi al centro dell’attenzione sono i salari. Ne ha parlato anche il governatore Mario Draghi, nei giorni scorsi, e lo ha fatto proprio a Torino.
«Lo so bene che c’è una questione salariale in Italia. Dopo il 2000 i salari hanno perso terreno, soprattutto per due motivi: il sempre più frequente ritardo nel rinnovo dei contratti e l’inflazione programmata inferiore a quella reale. Inoltre il costo della vita è una media, e i beni che sono calati di prezzo spesso non sono alla portata di una famiglia monoreddito. Nel 2003, quando nei Ds ero responsabile per il lavoro, ho condotto un’inchiesta sul campo. Il 35% delle persone che hanno risposto al questionario guadagnava meno di mille euro netti; solo il 17%, tra cui pochissime donne, più di 1.500. Sono contento che una voce autorevole come quella di Draghi avvalori analisi che facevamo da tempo».
Gli industriali ribattevano che c’era poco da distribuire.
«È vero che la produttività è cresciuta poco negli ultimi anni; ma è rimasta tutta nelle mani delle aziende, come si vede dagli elevati profitti».
Fiat, Riello, Ilva, Brembo, ora si sono mosse.
«Gli imprenditori più avveduti si rendono conto che un modello di crescita fondato sulla compressione dei salari non è adatto, se l’Italia vuole riconquistare spazi di mercato puntando sulla qualità dei prodotti. La qualità richiede più impegno dei lavoratori, con una fidelizzazione all’azienda; l’eccellenza non va d’accordo con la flessibilità selvaggia. E poi basta ricordare Henry Ford: le automobili bisogna poterle vendere anche a quelli che le producono».
Che può fare il governo?
«In prospettiva il problema del drenaggio fiscale andrà affrontato».
Abbassare l’Irpef ai lavoratori richiede molti soldi. Per ora il governo non li ha.
«È vero. La prima cosa che possiamo fare, è dare il nostro contributo a una stagione di rinnovi contrattuali che si concludano rapidamente, e a un allargamento della contrattazione aziendale che leghi gli aumenti di salario alla crescita della produttività. So bene che questa è materia di accordi tra le parti sociali...»
La Cisl è d’accordissimo. La Cgil un po’ meno.
«Fu la Cisl a inventare la contrattazione articolata aziendale, più di cinquant’anni fa; ora è patrimonio di tutti. Va ritoccato il modello contrattuale in vigore dal ‘93, che funzionava negli anni ‘90 ma ora si è appesantito. In tempi di inflazione bassa, due anni per rinegoziare i salari sono pochi; si può tornare alla durata di tre anni, sia per la parte salariale sia per quella normativa. Al contratto nazionale lasciamo il recupero dell’inflazione e la quota di maggior produttività da destinare a miglioramenti normativi. Il resto può essere demandato alla contrattazione aziendale o territoriale».
Il salario può salire nelle aziende dove la produttività cresce. Ma, negli ultimi anni, di contrattazione aziendale se ne è fatta poca, perché il sindacato è debole.
«Il governo dà già una mano con le normative sul welfare. Gli aumenti aziendali legati alla produttività li rendiamo più vantaggiosi sia per le imprese, con uno sgravio contributivo fisso del 25%, sia per i lavoratori, per i quali inoltre gli aumenti diventano pensionabili. Si potrebbe allargare ancora questo spazio».
Il governatore Draghi appoggia la proposta degli economisti Boeri e Garibaldi di un percorso al lavoro con licenziamento libero nei primi tre anni, per evitare il precariato a vita. Anche Walter Veltroni pare interessato.
«Io non sono d’accordo. Potrebbe ritardare le assunzioni stabili che le imprese vogliono fare subito; e non vorrei che tornasse il discorso sulla libertà di licenziamento. Non era simile a questa, poi, la proposta contro cui si ribellarono le periferie francesi due anni fa?».
|
 |
Per offrire una migliore esperienza di navigazione questo sito utilizza cookie anche di terze parti.
Chiudendo questo banner o cliccando al di fuori di esso, esprimerai il consenso all'uso dei cookie.
Per saperne di più consulta la nostra Privacy e Cookie Policy