"Intervista" Damiano: ora pensiamo ai salari
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giovedì 11 ottobre 2007
Pagina 2 - Economia
L'Intervista Cesare Damiano
Il protocollo è approvato, ora pensiamo ai salari
di Roberto Rossi / Roma
Quando al ministro del Lavoro, Cesare Damiano, chiediamo un commento sul referendum, che poi promuoverà a pieni voti il protocollo che porta il suo nome, non c’è ancora certezza sui dati.
Ministro, secondo le prime proiezioni il “sì” avrebbe raccolto larghi consensi. Se lo aspettava?
«Si tratta di dati ancora parziali, vorrei aspettare la fine dello scrutinio, ma quelllo che si profila è un importante affermazione del “sì”».
La percentuale dei votanti è certa e si aggira attorno al 60%. Apprezzabile?
«La partecipazione al voto è molto alta e cancella i timori di quanti paventavano una tendenza all’astensionismo. Si conferma una voglia di partecipazione e una grande condivisione. Passa un messaggio fondamentale: che ci troviamo di fronte a una concertazione vera che ha prodotto un risultato di vantaggio, senza scambio, per lavoratori e pensionati».
Nelle grandi fabbriche sembrerebbe che il “no” prevalga. Che significato le attribuisce?
«Questo era un dato scontato considerato già l’andamento di alcune assemblee, i commenti, le interviste ai lavoratori che si sono susseguiti nel corso di queste settimane. Sicuramente ha pesato una posizione negativa della Fiom che in qualche modo ha oscurato anche gli elementi positivi, che riguardano gli stessi metalmeccanici, contenuti nel protocollo».
Sull’atteggiamento dei metalmeccanici non pesano anche problematiche slegate dall’accordo?
«Sicuramente sì. Questi fattori esterni li avevamo già rilevati prima dell’estate nelle assemblea di Mirafiori».
Quali sono?
«La percezione di una crescente invisibilità del mondo del lavoro soprattutto per ciò che riguarda il lavoro operaio e il lavoro manuale in generale, unita a un’inadeguatezza delle retribuzioni a fronte della crescita del costo della vita che, in molti casi, e penso al monoreddito del lavoratore operaio, mette le famiglie in una condizione di incertezza nella vita quotidiana. Tutto questo si è scaricato nel voto a testimonianza di un disagio che va colto».
In che modo?
«Io penso che il governo con il protocollo e l’ultima legge Finanziaria abbia dato un chiaro segnale alla parte debole del Paese. Ritengo che questo segnale, con il passare del tempo, verrà apprezzato da tutti. Per il futuro si potrebbe pensare a degli interventi fiscali a vantaggio delle retribuzioni».
Secondo lei il lavoro dovrà tornare come elemento di priorità politica?
«Il lavoro è tornato con questo governo un elemento di priorità politica, ma naturalmente recuperare la perdita di centralità e di visibilità, che si è verificata nel corso degli ultimi decenni, non sarà un’impresa facile. Non dobbiamo dimenticare che siamo di fronte a una tendenza che si è manifestata a partire dagli anni ‘80 dopo la sconfitta del sindacato alla Fiat e soltanto adesso si comincia a recuperare terreno».
Il dato sui metalmeccanici ha però un peso politico specifico. Rifondazione comunista parla di interpretazione del voto...
«Io so che in democrazia quando si ricorre allo strumento del referendum, che io ho sempre difeso come l’ha difeso Rifondazione Comunista, si vince con il 51%. In Italia il referendum sul divorzio, che ha cambiato il volto di questo paese e i suoi costumi, è passato con il 56% dei voti. Pur considerando le ragioni del “no” delle grandi fabbriche, non si può certo stravolgere il risultato che si sta delineando, altrimenti si offenderebbero le ragioni della democrazia».
Quindi, se fosse confermata la vittoria del “sì”, al Consiglio dei ministri di domani i problemi politici sollevati dalla sinistra radicale si potrebbero risolvere in maniera rapida?
«Il “sì” preverrà sicuramente: vuol dire che i lavoratori e pensionati hanno percepito la bontà e la giustezza delle scelte del governo attuate attravreso la concertazione. E hanno anche compreso che l’azione dell’esecutivo, al di là dell’ecesso di litigiosità che impedisce di trasmettere i buoni contenuti, è un’azione a tutto vantaggio di chi lavora».
Che va nella direzione del programma dell’Unione?
«È un’azione rispettosa del programma. Si tratta di un passo importante, non conclusivo, che apre la strada a ulteriori interventi a vantaggio dello stato sociale. Le persone che lavorano percepiscono quando una politica segna una discontinuità positiva rispetto al governo precendente. E anche chi è un accanito oppositore di questi risultati ne prenda atto. Perché è giusto fare le battaglie, sostenere le proprie tesi, ma è doversoso riconoscere i risultati della democrazia. Altrimenti si rischia di imitare Berlusconi che, perse le elezioni, pretendeva di averle vinte».
Ma il protocollo è aperto a modifiche?
«Al consiglio dei ministri presenterò, nel collegato, la traduzione del protocollo come è sottoscritto dalle parti sociali. Tutti sanno che la trascrizione di un testo di concertazione può contenere precisazioni finalizzata a chiarire dubbi e perplessità sollevati al momento della conclusione dell’accordo. In particolare su due punti, i lavori usuranti e il contratto a termine, la normativa potrà essere precisata, ma a una condizione: che sia condivisa dalle parti che hanno sottoscritto l’accordo».
Sullo staff leasing o sulla detassazione degli straordinari la linea rimane ferma. Non ci saranno variazioni.
«Nessuna variazione».
Sull’atteggiamento che ha la sinistra radicale quanto incide la manifestazione del 20 ottobre proprio sul welfare?
«Aver programmato questa manifestazione anche dopo la decisione del sindacato di consultare con referendum lavoratori e pensionati è stato, a mio avviso, un errore. Ma noi dobbiamo far prevalere la ragione e il buon senso e avere uno spirito costruttivo e unitario. Se trionfano le ragioni di un partito su quelle della squadra non si può fare molta strada».
Tra le ragioni di partito rientrano anche la denuncia di brogli ad opera dei Comunisti italiani?
«Mi sembra un atteggiamento inaccettabile. Che getta discredito sul sindacato e sullo strumento del referendum. Non credo che la politica debba conquistare gli spazi attraverso gli scoop televisivi. Ci vuole etica delle responsabilità».
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