 |
martedì 23 gennaio 2007
Prima Pagina (segue a pag.9) - Economia
L´Intervista Parla Bini Smaghi, del board Bce
«La sfida per l´Italia è la crescita. Ma non c´è crescita senza rigore finanziario. E l´Italia non crescerà in modo sostenibile e duraturo finché il debito pubblico resterà a livelli così alti».
«Rigore finanziario e riforme» monito della Bce all´Italia
"L´Italia deve aumentare l'età pensionabile"
Bene le liberalizzazioni L´importante è non fermarsi di fronte alle prime difficoltà politiche, o alle prime resistenze corporative la crescita
L´Italia non crescerà in modo duraturo fin quando il debito rimane così alto Non basta il disavanzo sotto il 3%: bisogna puntare all´equilibrio i tassi
Se la crescita in Europa si conferma, non adeguare i tassi di interesse alimenterà un aumento eccessivo della liquidità
DAL NOSTRO INVIATO Massimo Giannini
Francoforte «La sfida per l´Italia è la crescita. Ma non c´è crescita senza rigore finanziario. E l´Italia non crescerà in modo sostenibile e duraturo finché il debito pubblico resterà a livelli così alti».
Nel fiume in piena delle polemiche politiche sulla Finanziaria, sulle pensioni e sulle liberalizzazioni, Lorenzo Bini Smaghi lancia il suo "warning" all´Italia e al governo Prodi. «Assicurato l´equilibrio di bilancio, le riforme sono l´unico modo per far ripartire la crescita», dice l´uomo che rappresenta il nostro Paese nel "board" della Banca centrale europea. E dal suo ufficio al 34esimo piano dell´Eurotower di Francoforte, dove ha appena accolto in visita la cancelliera tedesca Angela Merkel, Bini Smaghi aggiunge: «Il governo deve accelerare sulle liberalizzazioni. Ed è sempre più urgente la riforma della previdenza, a partire dall´innalzamento dell´età pensionabile. In caso contrario, chi vuole difendere lo status quo ha il dovere di dirlo chiaro: vogliamo che le nostre pensioni, che ci goderemo più a lungo, siano pagate dai giovani».
Dottor Bini Smaghi, partiamo dall´Europa. Che prospettive di crescita vede per il 2007?
«I dati recenti sembrano confermare che la crescita europea rimarrà robusta, anche nel 2007. La ripresa si consolida, anche grazie ai miglioramenti registrati dall´occupazione, che sostiene la domanda interna. Il tasso di disoccupazione nell´area dell´euro è sceso sotto il livello minimo raggiunto in occasione della precedente fase ciclica. Questo mostra che le riforme del mercato del lavoro cominciano a dare i loro frutti».
Voi che farete, a questo punto? Vede tensioni inflazionistiche, nonostante il calo dei prezzi del petrolio? Prevede ulteriori giri di vite sui tassi di interesse?
«La Bce ha cominciato ad aumentare i tassi, dai livelli minimi, da poco più di un anno, da quando emergevano segni di ripresa economica. Chi allora criticò la Bce (comprese alcune istituzioni internazionali) sostenendo che la ripresa non c´era e che l´aumento dei tassi l´avrebbe frenata, ora riconosce che abbiamo fatto la cosa giusta. La nostra strategia non è cambiata. Consiste nel contrastare le pressioni inflazionistiche, prima che queste si manifestano. Questo richiede che i tassi d´interesse vengano adeguati al ritmo di crescita dell´economia. E´ vero che il calo del prezzo del petrolio riduce l´inflazione nel breve periodo, ma contribuisce anche a sostenere la domanda interna e il ritmo di crescita potenziale dell´economia europea».
E quindi?
«Quindi, guardando al ritmo di crescita dell´economia che ha superato il 2% in termini reali, e al tasso d´inflazione intorno al 2%, un tasso d´interesse al 3,5% è ancora accomodante».
Fuori dal gergo del banchiere centrale, "accomodante" significa che andiamo verso un nuovo rialzo dei tassi, giusto?
«Posso dirle questo: se lo scenario di crescita si conferma, non adeguare i tassi di interesse vuol dire alimentare un aumento eccessivo della liquidità».
Chiarissimo. Cosi darete ragione a quei governi di Eurolandia che vi accusano di una politica monetaria troppo restrittiva.
«Le lamentele sono limitate, e il rumore viene in gran parte dalla campagna elettorale francese. Io vedo invece che c´è un crescente consenso sul fatto che in questi anni la Bce abbia fatto un buon lavoro. L´opinione pubblica vuole inflazione bassa. Nei primi 8 anni dell´unione monetaria, l´inflazione è stata in media del 2,05% all´anno, un risultato che mi sembra ottimo, se raffrontato al passato o ad altri paesi che non hanno l´euro. Si poteva forse fare un po´ meglio, ma non dimentichiamo l´aumento del prezzo del petrolio e altri shock che si sono avuti in questi anni».
Eppure i governi si lamentano.
«Ai governi che si lamentano rispondo che la Bce con la sua politica monetaria ha aiutato in modo notevole a sostenere la crescita, soprattutto nella fase in cui i tassi erano al 2%. La politica fiscale ha fatto esattamente il contrario: è stata espansiva nei due anni di crescita più sostenuta, e restrittiva nella fase di crescita più debole».
Passiamo all´Italia. Sulla Finanziaria il primo giudizio della Bce non è stato positivo. Oggi che i saldi di bilancio sono in chiaro miglioramento avete cambiato opinione? Si possono davvero ricominciare ad allentare i cordoni della borsa, come sostiene qualche esponente della sinistra, che vuole spendere in fretta il "bonus" delle maggiori entrate fiscali?
«Una cosa va detta con chiarezza: l´Italia non crescerà in modo sostenibile e duraturo fin quando il debito rimane così alto. Per ridurre il debito rapidamente non basta avere un disavanzo appena sotto il 3% del Pil. Bisogna puntare all´equilibrio di bilancio. Così hanno fatto altri paesi, come il Belgio o l´Irlanda, che avevano un debito più alto del nostro, l´hanno ridotto rapidamente e hanno ripreso a crescere. Per questo non è serio parlare di bonus delle maggiori entrate da ridistribuire. Non si sa nemmeno se questo bonus è di natura permanente o legato al ciclo. Si rischia di ricommettere lo stesso errore del 2000, quando il miglioramento del disavanzo indusse il governo a ridurre le imposte, col che il disavanzo aumentò ai primi segnali di rallentamento ciclico, creando nuove ansie di risanamento. Il governo italiano deve consolidare i risultati raggiunti e rassicurare i cittadini sul fatto che il problema della finanza pubblica è in via di risoluzione. Ridare la fiducia ha molto più impatto sulla crescita, rispetto a qualche sgravio fiscale non sostenibile nel tempo».
Si è aperto un grande dibattito sulle riforme, dalle liberalizzazioni alla previdenza. Lei che ne pensa? Solo chiacchiere, o si approderà a qualcosa di concreto?
«E´ un aspetto molto positivo che in Italia si discuta apertamente di riforme. In effetti queste sono l´unico modo per far ripartire la crescita, dati i lacci e lacciuoli della nostra economia, rispetto alle altre. Dopo i successi delle riforme sul mercato del lavoro, bisogna ora liberalizzare i mercati dei prodotti, mettendo al centro i consumatori, soprattutto quelli meno abbienti, i cui salari sono rimasti compressi. Per competere a livello internazionale i salari non possono aumentare più della produttività. Allora, per recuperare potere d´acquisto, bisogna intervenire con l´obiettivo di ridurre i prezzi per il consumatore, creando più concorrenza, ad esempio nel settore dell´energia e dei servizi alla distribuzione e quelli locali».
Quindi fa bene Bersani a insistere sulla sua lenzuolata di liberalizzazioni?
«Assolutamente sì. La strada intrapresa è quella giusta. L´importante è non fermarsi di fronte alle prime difficoltà politiche, o alle prime resistenze corporative».
Il punto più dolente riguarda le pensioni. Nel governo c´è chi dice che tutto va bene così. Lei come la vede?
«Bisogna che le varie parti spieghino in modo chiaro, sulla base di dati oggettivi e ufficiali, come intendono coprire i costi che derivano da un fatto oggettivo e incontrovertibile: l´allungamento della vita aumenta gli esborsi pensionistici. In sintesi, politici e sindacalisti devono spiegare: chi paga? Ma quello che gli italiani devono sapere, e che se non si cambia niente, pagheranno i contribuenti, con tasse più alte. Nel giro dei prossimi 15-20 anni le entrate dovrebbero aumentare di circa 1 punto di Pil, come minimo, perché le aspettative di vita vengono continuamente riviste al rialzo. Dalle recenti reazioni alla Finanziaria non mi sembra che gli italiani vogliano pagare più tasse. Per altro, saranno soprattutto i giovani, inclusi quelli che ancora non sono entrati sul mercato del lavoro, che dovranno subire tasse più alte».
E allora come se ne esce?
«Lo dicano chiaramente, quelli che puntano a difendere lo status quo: "vogliamo che le nostre pensioni, che ci goderemo più a lungo, siano pagate dai giovani". Ma chi difende questi privilegi non può poi lamentarsi se i giovani non trovano lavoro o se il lavoro è precario. E´ ovvio che con tasse e contributi più alti il lavoro giovanile viene penalizzato. Mi chiedo: ma chi difende i giovani, in Italia? Possibile che il sindacato non si ponga questa domanda?».
Eppure, anche tra i ministri più riformisti come Damiano, cresce la tendenza a dire "l´età pensionabile non si tocca".
«A mio avviso è un errore. Anche altri Paesi devono completare la riforma previdenziale. Ma in Germania si va in pensione a 67 anni, in Svezia a 65. L´Italia può davvero permettersi il lusso di mandare la gente in pensione a 57 anni? Le aggiungo che in nessun Paese esiste il concetto di "lavoro usurante", mentre da noi ho sentito qualcuno che considera tale perfino il lavoro di una maestra d´asilo. Se proprio lo si vuole introdurre, va legato a dati certi sulle aspettative di vita delle varie categorie professionali».
Un´altra sfida decisiva per l´Italia riguarda la competitività e la produttività del sistema, privato e soprattutto pubblico.
«In un´economia globale, per essere competitivi, bisogna evitare che i propri costi aumentino più di quelli dei concorrenti. Non parlo della Cina o dei paesi emergenti, ma della Germania, Francia, Regno Unito o Svezia. Negli ultimi anni l´Italia ha perso competitività nei confronti di questi paesi, perché le remunerazioni sono cresciute più della produttività. La sfida per l´Italia è di aumentare la produttività, e questo è soprattutto un impegno per le aziende».
Appunto. E non le sembra che le aziende italiane, in questi anni, abbiano dato risposte insoddisfacenti, con poca innovazione e pochi investimenti?
«Per lungo tempo si sono mantenute posizioni in settori produttivi chiaramente declinanti. Questo e stato effettivamente un errore. Nell´ultimo anno, invece, molte aziende hanno avviato ristrutturazioni importanti. Ora bisogna aiutarle a crescere. Riduzione del cuneo fiscale e crediti d´imposta funzionano, ma a condizione che vi sia rigore sul costo del lavoro. Se la riduzione di 3 punti di cuneo se ne va in aumenti salariali non in linea con la produttività, anche questo incentivo diventa una forma surrettizia di svalutazione competitiva, il cui effetto e destinato a svanire in breve tempo. E´ un errore che l´Italia non deve mai più ripetere».
|
 |