14/3/2003 ore: 11:09
"Intervista" Bertinotti: «Con il referendum colpiremo al cuore la destra»
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14 marzo 2003
l’intervista
Fausto Bertinotti
segretario di Rifondazione Comunista
«Due i vantaggi di una vittoria del sì sull’articolo 18: l’estensione a tutti i lavoratori del diritto di non essere licenziati e una crisi gravissima per il governo
«Con il referendum colpiremo al cuore la destra»
Piero Sansonetti
ROMA Bertinotti manda un appello al
centrosinistra e ai sindacati. Dice: il referendum
sull'estensione dell'articolo 18 è
uno strumento formidabile nelle mani di
tutta la sinistra e di tutta l'opposizione.
Permette di invertire la tendenza del governo
a fare piazza pulita dei diritti, e può
mettere in crisi il centro destra. Può essere
la strada per mandare a casa Berlusconi.
Usiamolo questo strumento. Per l'opposizione
è fondamentale che il Sì prevalga.
Nessuno deve rinunciare ai suoi punti
di vista e alla sue convinzioni, però possiamo
unirci - ciascuno dalla sue posizioni -per
far vincere il sì.
-
Che vuol dire che ciascuno può
mantenere le sue posizioni?
credo che sia giusto estendere a tutti i
lavoratori dipendenti i diritti sanciti dall'
articolo 18. Cioè la sicurezza di non essere
licenziati senza motivo. Altri settori del
centrosinistra possono considerare giusta
un'altra articolazione dei diritti, delle tutele
e delle garanzie, e possono desiderare
una legge diversa da quella che ho in mente
io. Però su due cose oggi non possono
esserci dubbi. Prima, è in corso una azione
devastante della destra che sta radendo
al suolo l'impianto dei diritti sul lavoro, e
la stessa idea che un sistema di diritti sia
parte essenziale del sistema produttivo.
Giusto? La seconda cosa certa è che per
invertire questa tendenza bisogna che al
referendum prevalga il sì. Persino persone
lontanissime da Rifondazione, e dai
gruppi (anche del centrosinistra) che hanno
proposto il referendum, oggi dicono
questo.
- Ad esempio chi?
diametralmente opposte alle nostre.
-
A chi ti rivolgi quando lanci questo
appello al sì?
straordinario se la Cgil, da posizioni di
assoluta autonomia, decidesse di schierarsi
per il sì. Sarebbe un fatto straordinario
e credo che oggi sia possibile che avvenga.
E poi mi rivolgo a tutti i partiti del centro-sinistra
e a tutti i suoi leader. Da D'Alema,
a Cofferati, a Fassino, a Rutelli, a
Castagnetti, a Boselli e Mastella. Io faccio
questo ragionamento. Noi ci troviamo in
una situazione politica segnata - non solo
per la sinistra - dalla novità di un movimento
di massa in grande crescita. C'è il
movimento no-global, in continua espansione,
c'è il risveglio del movimento sindacale,
ci sono anche i girotondi. È il movimento
più straordinario che abbiamo
mai conosciuto. Però c'è un problema. Di
fronte all'espandersi di questa forza non
si realizza nessuna conquista concreta: in
termini di leggi, di contratti, di nuovi diritti.
È un movimento che pone una radicale
domanda di cambiamento e assiste
non solo alla conferma delle politiche conservatrici,
ma addirittura ad una loro
estremizzazione. Io penso che tornare a
vincere sia oggi una esigenza cruciale. E il
referendum ci da quest'occasione. Non
solo perché possiamo interrompere una
tendenza all'arretramento della civiltà del
lavoro. Ma anche perché possiamo colpire
a fondo il governo, e la destra, sul
piano della politica generale. In caso di
vittoria dei sì al referendum si potrebbe
aprire una crisi profonda del governo Berlusconi.
Perché? Per il semplice motivo
che la vittoria dei sì sarebbe la sconfitta
completa della sua politica sociale. Cadrebbe
la proposta di ristrutturazione del
mercato del lavoro e gli verrebbero a mancare
gli strumenti-chiave del rapporto
con la società e con i ceti sociali e i gruppi
di potere che costituiscono la sua forza.
Su cosa si basa la politica di Berlusconi?
Su un progetto di sconfitta della stagione
di diritti e di eclissi delle conquiste sociali.
Questo progetto si dissolverebbe la sera
stessa del voto.
- Quindi voi puntate alla crisi di governo?
Una vittoria dei sì porrebbe in discussione
questo modello politico.
- Quale modello?
che è il modello attuale. Una vittoria al
referendum affermerebbe il principio secondo
il quale non basta la maggioranza
nel Parlamento per potere governare.
Non vuol dire che non sia importante la
maggioranza parlamentare - e legittima -vuol
dire che il problema politico del consenso
è una cosa più complicata del conto
dei deputati. Il consenso si guadagna e si
difende in rapporto con la società civile in
movimento. Una democrazia forte e sana
è permeabile alla società. Questa nostra
democrazia invece è impermeabile. E così
svuota le istituzioni, le mortifica. Quando
c'era la prima repubblica - discutibile per
tanti versi, e che certo non deve essere
presa a modello - la società civile contava
molto di più. I governi dovevano tenerne
conto, non potevano solo dire: "Ho la
maggioranza e si fa come dico io". Ad
esempio con un governo sostenuta da una
maggioranza moderata fu ottenuto lo Sta-tuto
dei lavoratori, e con la Dc che era
partito di larga maggioranza relativa si ebbe
il divorzio e l'aborto. Bastava l'annuncio
di uno sciopero generale per provocare
le dimissioni del primo ministro. Oggi
invece sembra non esserci più nessun rapporto
tra Palazzo e società civile. Per questo
il movimento non ottiene risultati.
-
Se vince il sì al referendum tutto
questo cambia?
Anche il rapporto tra governo
e società. Si afferma il principio che la
questione del consenso è più grande di
una vittoria o di una sconfitta elettorale.
-
Questo referendum può essere la
base di un patto tra Ulivo e Rifondazione?
parlare di processo. Non per ragioni
di prudenza, al contrario per una ambizione
più grande. Faccio questo ragionamento.
Gli schieramenti nei quali oggi è articolata
l'opposizione sono largamente inadeguati.
Questo è indubbio. Però a me ora
non mi interesse discutere se e come mo-
dificarli. Io dico semplicemente che oggi
la discussione e il confronto dentro la
sinistra e dentro il centrosinistra sono
molto diversi da qualche anno fa. Allora
c'era un compatto schieramento dell'Ulivo
che poteva ( o no) trovare un accordo
con noi. Oggi non c'è più un compatto
schieramento dell'Ulivo. Su tutti i temi
(guerra, articolo 18, rai...) esiste una articolazione
di posizioni nell'opposizione
che non risponde più allo schema Ulivo-
Rifondazione. Io non dico di far precipitare
questa articolazione in nuovi schieramenti
omogenei. Dico: apriamo un processo
più avanzato di discussione e di confronto,
con l'obiettivo di qualificare l'opposizione,
senza farci chiudere nella gabbia
opposizione-unita (monolitica) o opposizione-
divisa. È un'opposizione in
cammino. Per questo è più forte. Anche
sul sì al referendum io dico: avviamo un
processo e teniamolo aperto, vediamo
quali forze nel centrosinistra e nella sinistra
sono disposte a battersi subito per il
sì, ma non alziamo steccati: lavoriamo
perché col tempo questo schieramento si
allarghi fino a comprendere, possibilmente,
tutto il centrosinistra.
-
E su questa strada puntare anche
al rovesciamento del governo?
interno delle contraddizioni dirompenti:
sulla guerra anche senza Onu e sulla richiesta
americana di mettere a disposizione
terra, cielo e mari italiani, e forse anche
uomini e mezzi. Persino sulla rai, al
punto in cui sono arrivate le cose, non è
da eludersi uno scontro serio, esplosivo...
-
Allora la parola d'ordine è : via il
governo?
Dico semplicemente che non si può
essere succubi dell'idea che il governo durerà
fino al 2006 e che fino a quella data
non c'è niente da fare, si può solo subire.
-
Ma per raggiungere una nuova unità
tra Rifondazione e Ulivo non è
necessario che sia rimessa in discussione
tutta la politica economica
del centro-sinistra?
quella politica economica. Chiaro. Ma
non ne faccio una pregiudiziale, una precondizione
al dialogo e alla collaborazione.
Per questo dico "processo" e non "patto".
Il processo è dinamico, la discussione
e il confronto avvengono in corsa, nessuno
è costretto ad accettare posizioni dell'
altro. È possibile collaborare da posizioni
diverse.