"Intervista" Angeletti: Siamo pronti al dialogo ma il governo si spieghi

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mercoledì 23 Luglio 2003
ANGELETTI: È INFONDATA LA RICETTA DELL’FMI «Siamo pronti al dialogo ma il governo si spieghi»
intervista Roberto Ippolito
ROMA ADDIRITTURA irritato. Il segretario della Uil Luigi Angeletti giudica «inaccettabili» le richieste e le proposte avanzate dal Fondo monetario internazionale all’Italia. Angeletti, perché è così arrabbiato con il Fondo? «Se l’Italia applicasse le ricette dell’Fmi sarebbe ridotta a un Paese in via di sviluppo e poi fallirebbe. Il Fmi compila ricette infondate. Chiede perfino di ridurre ancora i dipendenti pubblici, ma la Francia a parità di popolazione ha un milione di statali in più e l’economia funziona meglio». Che cosa imputa al Fondo? «Il Fondo non tiene conto della situazione reale dei conti pubblici italiani». Addirittura? «I numeri dell’Italia sono conosciuti. La spesa pubblica e in particolare la spesa sociale (previdenza, sanità, assistenza) sono più basse della media europea di tre-quattro punti. Questo perché bisogna pagare gli interessi sul debito più elevati». Ritiene improponibili le sollecitazioni a tagliare le spese? «L’Italia ha realizzato tutti i risparmi di spesa possibili. Se la spesa sociale venisse compressa, bisognerebbe ridurre le prestazioni a un livello al di fuori dell’Ue. In Italia pertanto non c’è motivo di ridurre la spesa sociale». Per lei il Fondo è fuori strada? «Il Fondo monetario sbaglia. Come sbagliano tutti coloro che con una litania puntano al taglio della spesa sociale. Non c’è alcuna ragione per farlo». Non serve nemmeno un riequilibrio della spesa? «Molti osservatori riconoscono che la spesa sociale è bassa, ma sostengono che la previdenza pesa troppo. Chiedono perciò di spostare risorse verso gli ammortizzatori sociali. Anche questa tesi è infondata. E’ inesatto dire che in Italia la spesa previdenziale supera il 14% del pil perché questa cifra comprende sia le pensioni che l’assistenza. Per gli altri Paesi la separazione contabile è netta. La spesa previdenziale è quindi in linea con la media europea grazie alla riforma Dini». Ma il Fondo insiste per la riforma e il ministro Tremonti sembra puntare a misure più severe. «Contesto la necessità di un’ulteriore riforma delle pensioni come vorrebbe il Fondo e di cui si attribuisce l’intenzione a Tremonti. L’Italia è nella media europea per l’età di pensionamento». Ammetterà che il deficit pubblico galoppa di nuovo? «C’è troppa elusione e evasione fiscale e contributiva. E’ un problema molto serio la mancanza di entrate in rapporto alla quantità di ricchezza prodotta. Il deficit non è risolvibile intervenendo sulle uscite. Anche se ovviamente bisogna qualificare e rendere più produttiva la spesa riformando la pubblica amministrazione». Condivide l’impostazione di Tremonti delineata in parlamento dopo il varo del Dpef? «Non è un caso che il governo abbia sempre ricordato che un elevato sviluppo consente maggiori entrate». In questo modo si ragiona su quello che potrebbe accadere più che sulla situazione oggettiva, no? «Negli ultimi anni il deficit pubblico si è incamminato verso il 3% in rapporto al pil a causa della bassa crescita economica. Se l’economia fosse cresciuta di più non ci sarebbe stato nessun problema e nessun condono per recuperare risorse». C’è il patto di stabilità, gli impegni assunti in Europa. «Uso una parola del presidente della Commissione europea Prodi: il patto di stabilità è stupido; in una fase di stagnazione i deficit tendono ad aumentare. L’Italia non va oltre il 3% perché la spesa pubblica è bassa». Ma per lei non ci sono problemi? «Il problema è la politica economica necessaria per far ripartire lo sviluppo. Ha ragione Tremonti: se Karl Marx fosse vivo non si preoccuperebbe del deficit al 3% ma delle prospettive dell’economia reale. Bisogna creare le condizioni per lo sviluppo e concretizzare gli investimenti necessari». Sa che il Fondo prevede una crescita scarsa? «Se l’Italia non investe cresce meno. E con le terapie del Fondo monetario farebbe la fine dell’Argentina. Ora bisogna aprire il confronto per impostare una legge finanziaria concentrata sull’aumento di competitività e quindi sullo sviluppo». E cosa dice a Tremonti che parla di riforme da fare? «Quando Tremonti afferma che servono le riforme, assicuriamo di essere disponibili a discutere. La ricerca del consenso deve partire dai dati di fatto». Come valuta gli orientamenti del Dpef? «Le scelte del governo non sono spiegate. Non si possono dare giudizi. Per Tremonti il Dpef è una base di discussione: il vero confronto non è sull’analisi delle condizioni dell’economia ma sulle cose da fare».
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