27/3/2002 ore: 12:11
"Intervista" Andreotti: Negli anni di piombo i sindacati alleati contro la violenza
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L´INTERVISTA |
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Andreotti: "Negli anni di piombo i sindacati alleati contro la violenza" |
Sui temi del lavoro ascoltino il parere del Cnel, non facciamone un caso teologico |
SEBASTIANO MESSINA |
ROMA - Senatore Andreotti, il presidente Ciampi ha contrapposto alla tensione di questi giorni «la risposta forte e unitaria» che tutto il paese, compreso il sindacato, diede al terrorismo negli anni Settanta. Forse nessuno meglio di lei, che guidò il governo di solidarietà nazionale, può dirci quante analogie e quante differenze ci sono tra l´Italia del 1978 e quella del 2002. Il sindacato, per esempio, allora non era visto dal governo come un pericoloso avversario… «Assolutamente no. Ricordo che Luciano Lama, negli anni del terrorismo, assunse una posizione molto ferma contro la violenza. E fece una grande impressione quando fu contestato all´università di Roma dai gruppi estremisti. Certo la situazione era molto diversa, anche se noi non avevamo un´idea precisa delle dimensioni esatte della minaccia terrorista. Quel famoso 16 marzo, per esempio, la spettacolarità dell´assalto brigatista in via Fani fu tale che sembrava di trovarsi di fronte a un corpo d´armata, non a un commando…». Lei ha guidato sette governi, e più di una volta è stato il bersaglio dei cortei e delle manifestazioni del sindacato. Le sono tornati in mente, quegli scioperi e quei cortei, assistendo alla manifestazione di sabato scorso? «Guardi, ai miei tempi quando arrivava a Roma la manifestazione dei metalmeccanici era una specie di olio santo per il governo: l´estrema unzione. Se ce la cavavamo con un rimpasto era un ottimo risultato. Infatti qualcuno ha ironizzato sul fatto che negli ultimi cinque anni i metalmeccanici siano stati in quinquennio sabbatico. Ma l´ultima volta che sono venuti non è successo niente, come del resto non è successo niente sabato scorso. Oggi la situazione è molto diversa. La legge elettorale dà una maggiore stabilità al governo». I sindacati sono riusciti a far cadere più di un governo. Ma voi che eravate dall´altra parte, a Palazzo Chigi, come consideravate i sindacati? Un pericolo incombente? Una minaccia per la democrazia? Un clan di avversari irriducibili? «Il rapporto tra governo e sindacato in parte è naturalmente antitetico, perché il governo deve tutelare una posizione globale mentre il sindacato deve difendere il proprio punto di vista. Però le Confederazioni non sono i Cobas, e anche loro devono tener presente l´interesse generale visto che rappresentano tutto il mondo del lavoro dipendente. E questo s´è visto in più di un´occasione». Può citarne qualcuna? «Quando ci fu l´attentato a Togliatti, per esempio, il sindacato prese subito una posizione assolutamente collaborativa: mi pare che fu Bitozzi a dirlo a De Gasperi, salendo al Viminale. Lo stesso Di Vittorio fece una cosa ancora più importante, l´anno dopo. C´era stata la ratifica del Patto Atlantico e dovevano arrivare le armi degli americani. Ma qualcuno aveva affisso un manifesto terribile: "Mai un´arma sbarcherà in Italia". Allora De Gasperi consultò il segretario della Cgil, e lui gli diede davanti a me questa risposta: "Voi non conoscete abbastanza i lavoratori portuali di Livorno, che non rinunciano assolutamente a fare il loro lavoro. Vedrete che non succederà niente". E infatti non successe niente». Forse è il bipolarismo, che impedisce una risposta unitaria contro il terrorismo? «Questo credo di no, perché contro le Br tutti dobbiamo essere uniti. Non credo che possano esserci dei dubbi, tra le forze che siedono in Parlamento. Se si suppone che delle forze parlamentari siano contemporaneamente extraparlamentari, estremiste, violente, questo fa saltare il sistema». Ma allora perché, secondo lei, neanche di fronte all´attacco dei terroristi il governo Berlusconi riesce a resistere alla tentazione di andare allo scontro con la sinistra e con il sindacato, mettendo sullo stesso piano gli oppositori politici e gli assassini di Marco Biagi? «Sinceramente, non credo che Berlusconi voglia lo scontro. Certo ha anche il problema di non perdere la faccia, perché questo non è un campionato di boccette. Penso però che sarebbe il caso di adottare una vecchia cerimonia della Chiesa: il Papa, al momento di nominarli, chiudeva simbolicamente la bocca ai nuovi cardinali. Non sarebbe male fare la stessa cosa con i ministri. Io stesso so per esperienza che qualche volta ti fanno più danno i tuoi che non gli oppositori…». Dunque lei non ha, senatore, la sensazione che Berlusconi voglia dare una lezione al sindacato? «Non mi pare proprio. Berlusconi è una persona intelligente. In questi ultimi tempi poi ha fatto anche nuove esperienze internazionali e sa meglio di molti altri che il muro contro muro tra governo e sindacato non c´è in nessun altro paese d´Europa». Se toccasse a lei trovare una via d´uscita, cosa farebbe? «Il modo più costruttivo per allentare la tensione di questi giorni sarebbe, secondo me, quello di chiedere il parere del Consiglio nazionale dell´Economia e del lavoro, il Cnel, sull´articolo 18 e più in generale sui problemi che sono pendenti. Il Cnel è previsto dalla Costituzione proprio come uno strumento sia del governo che del Parlamento. Se c´è un tema sul quale andrebbe sentito è proprio questo. Così avremmo i termini esatti del problema. Se invece ne facciamo un caso teologico…». |