12/5/2003 ore: 10:58

"Intervista" A.Touraine: «Il vostro governo non esiste»

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 Intervista a: Alain Touraine (sociologo francese)
       
 



Intervista
a cura di

Gianni Marsilli
 
10.05.2003
"Il vostro governo non esiste"


PARIGI
Alain Touraine, sociologo e politologo francese di fama mondiale, ha sempre avuto un occhio di riguardo per le vicende italiane. Gli abbiamo quindi chiesto, alla luce delle ultime performances di Silvio Berlusconi - in particolare la chiamata in causa di Romano Prodi e Giuliano Amato nel corso della sua «deposizione spontanea» al processo di Milano - quale sia non solo l’immagine, ma anche il ruolo politico del nostro paese nel concerto europeo, quando manca qualche settimana al cambio di testimone alla presidenza dell’Unione tra Grecia e Italia.
Professor Touraine, come le sembra l’Italia due anni dopo l’ascesa al potere di Berlusconi?

«Mi sembra che l’Italia dia di sé stessa un’immagine assolutamente eccezionale. È un paese che apparentemente va benone non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e persino politico. Mostra una capacità di reazione e di mobilitazione che non ha eguali. Da nessuna parte le piazze si riempiono come qui da voi. Possiede una vitalità straordinaria, è un esempio per il mondo intero. Anche da altri punti di vista: lo stile italiano, per esempio, è quasi egemone sul pianeta.

Grazie dei complimenti: tutto bene, dunque?

La cosa eccezionale è però che non ha governo.

Come sarebbe?

Non ha governo. Non che non abbia un presidente del consiglio e i suoi ministri, lo sappiamo bene. Ma il fatto è che in Europa proprio non se ne percepisce l’esistenza, l’azione, le opinioni, le scelte. Si sa che a palazzo Chigi c’è un uomo d’affari che si occupa dei suoi affari. Si sa che la cosa pubblica per lui non esiste, se non per farne oggetto di privatizzazione. Questo si sa. Lo si è visto nella vicenda irachena: qualcuno si è mai accorto dell’esistenza dell’Italia nel coro internazionale? Mai, nessuno.

Quindi?

Quindi la domanda sorge spontanea: perché diavolo gli italiani sono incapaci di avere un governo, di destra o di sinistra che sia, che corrisponda all’importanza reale del paese? Adesso si arriva alla presidenza semestrale italiana dell’Unione europea, e il presidente si porta dietro il lezzo di affari giudiziari di basso livello...

Si possono immaginare conseguenze politiche piuttosto serie.

Ecco, su questo punto non sono molto d’accordo. Per conto mio non ci saranno conseguenze politiche gravi. L’Italia partecipa comunque al concerto europeo: c’è un italiano alla presidenza della Commissione, un altro italiano al fianco di Giscard d’Estaing alla Convenzione. È gente che pesa e peserà sull’avvenire dell’Europa. E poi non starò qui a ricordare che l’Italia è uno dei paesi fondatori dell’Unione, che il primo Trattato venne firmato a Roma... Voglio dire che per quanto sia priva di un governo e di un leader degni di questo nome l’Italia gioca comunque un ruolo: sarà il generale Mosca Moschini a presiedere il Comitato militare dell’Ue, è notizia di ieri. L’Italia non è assente, è il suo governo a non esserci.

Questa sua fotografia delle cose non testimonia di una grande vittoria dell’Europa, della sua rete di protezione, delle sue dinamiche irreversibili?
Si potrebbe dire, sì. Malgrado lentezze e anche vergogne - penso alla Bosnia, era solo ieri - l’Europa continua a costruirsi quasi da sola. E questo costituisce senz’altro la sua grande forza. Per contro l’Europa non esprime una sua visione del mondo. La sua opinione pubblica, così sensibile a quanto accade nel mondo, non trova espressione politica in un progetto di marchio europeo. In questo gli americani hanno ragione, quando dicono che l’Europa non ha né anima né idee. Ne deriva che l’Europa in quanto tale non ha nessun peso: basta pensare al Medio Oriente e all’ininfluenza dell’Ue. Gigante economico, ma nano politico a causa di un’assenza di volontà politica gravissima. E in questo l’Italia porta una grande responsabilità.

Vuole dettagliare?

È uno dei paesi che più di altri potrebbe usare la sua esperienza e comprensione dei rapporti tra occidente e islam, per esempio. Ma Berlusconi e i suoi hanno scelto il silenzio, una stupefacente assenza di parola circonda la loro azione internazionale. Beninteso, trovo che nessun paese europeo esprima una visione. Solo la Gran Bretagna, ma in senso antieuropeo: è una visione semplicemente americana. Chi, se non l’Europa - con l’Italia in prima fila - può proporre un progetto, un’idea capace di combinare la modernità mondializzata con le culture proprie ad ogni paese?

Lei parla di assenza di volontà politica. Ma non è forse precisa volontà politica quella di lasciare l’Unione vivere di solo mercato?

Forse è vero, forse è così. Ma allora a che serve manifestare contro gli Stati Uniti che vanno in guerra se non si ha un altro progetto da opporre? È come dire: americani, per favore, lasciateci in pace, non disturbate le nostre domestiche occupazioni. Gli americani hanno armi e idee, per quanto nocive esse siano. Noi rischiamo di ridurci al rango di piccoli borghesi impauriti, esitanti.

Come giudica il percorso diplomatico di Chirac nel corso della crisi irachena?

Positivamente, per la difesa delle ragioni del diritto internazionale. Era in sintonia con l’opinione pubblica europea. Ma ripeto: Chirac ha detto no agli Stati Uniti senza dire sì a qualcos’altro, e la sua opposizione si è fatta sterile.

Come faceva, da solo?

Appunto. Se l’Italia è silenziosa, se la Gran Bretagna sceglie un’altra soluzione, se la Germania è indebolita dai suoi crucci economici, è evidente che Chirac appare come il solito galletto francese che canta in solitudine. Se solo l’Italia avesse detto una parola a Parigi e Berlino nel corso della crisi irachena le cose sarebbero probabilmente andate diversamente, forse lo scontro con gli Usa si sarebbe evitato, o comunque si sarebbe salvaguardato il dialogo. Ma no: da Roma non un vagito. Gli europei complessivamente sono stati deludenti, d’accordo, ma l’assenza di parola italiana è stata estrema. C’è per esempio adesso la necessità assoluta, e la possibilità di parlare ad un paese-chiave: l’Iran, in bilico tra il ritorno all’estremismo religioso e la strada democratica. Se non lo fa l’Europa, non lo farà nessuno al suo posto. E in Europa, se ben ricordo, era stata l’Italia ad aprire il dialogo con Teheran nel dopo-Khomeini. Ma l’Italia di oggi appare immemore, e soprattutto muta. È un peccato, per l’Europa e per il mondo.



 
     

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