21/2/2005 ore: 11:09

"Intervista" A.Soldi: I trenta soci della Proletaria ora sono 650mila

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    domenica 20 febbraio 2005

    Pagina 14 -economia e lavoro
      Unicoop Tirreno festeggia in questi giorni i 60 anni di vita.
      Il presidente Aldo Soldi: «Restiamo un’impresa sociale radicata nel territorio»
      I trenta soci della Proletaria ora sono 650mila
        Luciano De Majo

        VIGNALE RIOTORTO (Livorno) - In principio erano trenta soci fondatori. Operai e impiegati degli stabilimenti siderurgici di Piombino, che dettero vita ad una cooperativa, chiamandola «La Proletaria». Da quel 26 febbraio del 1945 sono passati sessant'anni, che Unicoop Tirreno (questo l'attuale nome della cooperativa che per tutti gli anni '90 si era chiamata Coop Toscana-Lazio) si appresta a festeggiare con iniziative che arriveranno fino al 2006. Oggi i soci di questa cooperativa sfiorano i 650 mila, distribuiti fra Toscana, Umbria, Lazio e Campania. Il presidente di Unicoop Tirreno, Aldo Soldi, che guida anche l'associazione delle coop di consumo aderenti alla Lega, rivolge il suo primo pensiero proprio ai pionieri di sessant'anni fa.
          «Se questi operai e impiegati piombinesi si misero insieme, fu perché c'era da difendersi dalle speculazioni del mercato nero, da ricostruire il paese e la sua economia, per rispondere a un bisogno collettivo. In questa loro scelta c'era la voglia di costruire una società più giusta, non solo una necessità contingente, c'era una voglia di futuro. È un'idea che ci anima ancora oggi».
            Una grande cooperativa come Unicoop Tirreno sa ancora declinare la parola cooperazione senza cedere alla tentazione di parlare solo di impresa?
              «Se ci pensiamo bene, è questo il segreto del successo. Da una parte, essere un'impresa all'altezza delle altre aziende di distribuzione, anche a livello internazionale, e in molti casi anche meglio di esse. Dall'altra, mantenere le caratteristiche di un'impresa sociale e radicata nel territorio, che si comporta diversamente da altri soggetti».
                Come?
                  «Faccio un esempio: quando noi pensiamo a un prodotto a marchio Coop, non pensiamo a qualcosa da cui tirar fuori il più alto margine di guadagno. Pensiamo a un prodotto che risponda alle caratteristiche della salubrità, dell'igienicità, dell'eticità della catena, insomma ad un prodotto carico di significati e di responsabilità. Il nostro marchio si porta dietro tutti questi significati. È una coerenza che costa, ma che i consumatori apprezzano».
                    Le coop hanno denunciato tempo fa l’attacco da parte del governo Berlusconi con la riforma del diritto societario. Come vanno le cose?
                      «Era un attacco consistente, respinto sia per la mobilitazione del mondo cooperativo e dei suoi alleati sia per posizioni significative che sono state espresse anche da alcune parti della stessa maggioranza. Ne è uscita una disciplina che ha peggiorato la situazione, ma che non è rovinosa come avrebbe potuto essere».
                        Questo calo delle spese nella famosa quarta settimana del mese la percepite?
                          «Sì, purtroppo sì. E dico purtroppo non per le nostre vendite, ma per la situazione del paese. Una quota sempre maggiore di famiglie si va impoverendo. Retribuzioni e pensioni non stanno al passo con il costo della vita. Ed i consumi obbligati, tariffe, tasse, affitti, carburanti, hanno aumentato di molto la loro incidenza. Resta una quota di reddito più bassa per il resto dei consumi: per la prima volta nel 2004, abbiamo registrato una diminuzione dei consumi alimentari rispetto all'anno precedente. È un fenomeno che non accadeva da moltissimi anni».
                            Ora vi chiamate Unicoop Tirreno, nome simile a Unicoop Firenze. Fusioni in vista?
                              «Ci siamo chiamati Unicoop Tirreno per valorizzare il fatto che la cooperativa stava unificando anche altre esperienze, come Coop Tevere e Coop Unione Ribolla, con la quale la fusione è ormai prossima. Con Unicoop Firenze stanno crescendo le occasioni di collaborazione, andiamo oltre i rapporti di buon vicinato. Ma non stiamo parlando di fusioni a livello così ampio».

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