MILANO Un sindacalista in Europa. Anzi, nelle “tre Europe”. Antonio Panzeri, un curriculum ricco di incarichi nella Cgil culminati con gli 8 anni alla guida della Camera del lavoro di Milano, ha trasferito sul Vecchio continente la sua esperienza sindacale. Da un anno è responsabile per le politiche europee della Cgil e, adesso, anche candidato per il parlamento di Strasburgo nella lista Prodi. In questi giorni è in uscita il suo nuovo libro (Le tre Europe dei diritti, Jaca book), dove racconta le diverse realtà dell’Unione e analizza le opportunità e le difficoltà legate all’allargamento a est, che scatta ufficialmente oggi.
Panzeri, quali sono le “tre Europe” cui lei si riferisce?
«Da quando la Cgil mi ha affidato l’incarico di lavorare sulle politiche per l’Europa ho girato un po’ e ho cercato di osservare la diverse realtà del continente. Il libro contiene infatti una descrizione della situazione e alcune proposte, l’indicazione di possibili strade per una corresponsabile integrazione europea, come recita il sottotitolo. Perché nell’unione convivono modelli diversi: c’è l’Europa dei 15, con strutture politiche e sociali più solide, quella dei 10 nuovi membri che è invece più fragile, e poi ci sono gli immigrati, i futuri cittadini europei, ancora privi di diritti».
Serve quindi una nuova fase di integrazione?
«Sì, l’allargamento porta con sé opportunità e problemi. Occorrerà una rivisitazione di molte politiche comunitarie, basti pensare a quelle agricole, e l’armonizzazione dei diversi modelli sociali: quelli dei nuovi arrivati dell’est, reduci da politiche economiche da salasso attuate proprie per rientrare nei parametri Ue, a quelli degli Stati con una solidità che arriva da lontano. Un problema, per esempio, è che un operaio polacco dovrà aspettare 10 anni per guadagnare quanto un collega francese o italiano».
E come si gestisce questo quadro?
«Dovremo essere in grado di mettere in campo politiche che non sfaldino il mo dello sociale europeo, che peraltro in questo momento è “aggredito” da quello statunitense e da quello asiatico, che antepongono i doveri ai diritti. Per questo io sostengo che l’Europa si trova davanti a un bivio decisivo: o accelera nella direzione dell’unificazione, per esempio varando la Costituzione, o rischia di subire altre politiche. La vicenda dell’Iraq lo dimostra: se l’Europa è divisa prevalgono altre scelte. E lo stesso vale per i processi di globalizzazione».
Anche perché sul fronte interno si fanno sentire voci che vanno in tutt’altra direzione...
«Appunto, se l’Europa non si consolida ora si corre il rischio di lasciare il campo a spinte nazionaliste che, tra l’altro, non offrono alcuno sbocco a un paese co me il nostro. Quindi la matrice europea sviluppata in questi anni deve trovare la forza di darsi una Costituzione, e occorre anche un “partito europeo”, cioè un ceto politico che si dedichi all’Europa con grande energia».
E la sua scelta di candidarsi rientra in quest’ottica? Come mai ha scelto di staccarsi dal sindacato proprio per questa avventura a Strasburgo?
«Sono un convinto europeista, sono affascinato da questa sfida e sento che vale la pena provarci. specialmente in una fase come questa. Credo che in realtà si tratti di un’ideale continuità con la mi esperienza sindacale, perché se sarà eletto avrò davanti comunque un’attività concentrata sulla difesa dei diritti e della sicurezza sociale».
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