"Intervista" A.Bombassei: «Il sindacato usi il cervello, non i muscoli»
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mercoledì 14 dicembre 2005
Pagina 20 - Economia e Finanza
Bombassei «Il sindacato usi il cervello, non i muscoli Il sabato sarà pagato come straordinario»
intervista Paolo Baroni
ROMA «Ai sindacati chiedo di mostrare cervello, non i muscoli». Gli ultimi dati della produzione industriale preoccupano non poco il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei. «Occorre intervenire al più presto per recuperare competitività» e per questo rilancia l’idea di aumentare i sabati lavorativi. E al segretario della Cgil Epifani che ieri su La Stampa ha respinto la proposta replica: «occorre essere realisti, sono i numeri e le classifiche internazionali a dirci che dobbiamo fare subito qualcosa». «Purtroppo - spiega Bombassei - le ultime cifre confermano l’andamento negativo della nostra economia. Ci eravamo illusi che i numeri dei mesi scorsi indicassero un’inversione di tendenza: come Confindustria eravamo stati molto prudenti ed oggi la realtà si rivela diversa, i dati sono negativi».
Questa situazione dunque non fa che rafforzare le vostre convinzioni...
«Sì e ci spinge ancora di più a smuovere questa specie di apatia generale che non mette al centro dell’attenzione i veri problemi del paese. Siamo tutti presi da mille questioni politiche e di altro genere, e a farne le spese sono le imprese che competono a livello internazionale. Per questo stiamo cercando di stimolare tutte le forze, di destra e di sinistra, per cercare di capire quali sono le misure che si intendono prendere per cercare di invertire la tendenza».
Avete altri segnali?
«Produzione industriale anche i dati sulle esportazioni e sulla competitività, purtroppo ci vedono in discesa in tutte le classifiche internazionali».
Se la politica non si muove il cerino resta in mano alle parti sociali.
«Però anche il sindacato, in questa fase, se non proprio insensibile mi sembra che abbia un approccio un po’ arcaico al problema. Continua ad avanzare richieste economiche senza voler allargare il confronto al problema più generale che stiamo vivendo, quello della competitività delle imprese, che a nostro modo di vedere è ben più importante. Francesi e tedeschi stanno già correndo ai ripari, anche noi dobbiamo fare qualcosa: non possiamo stare fermi».
Nell’intervista di ieri Epifani si è detto disponibile «ad un ragionevole compromesso» ma non «a scambi impropri». Tanto meno se accompagnati da quelli che lui definisce «toni apocalittici» o da segnali di radicalizzazione.
«Nessuno vuole radicalizzare i problemi: la linea di Confindustria non è nè morbida nè radicale, è semplicemente realistica perché interpreta dati internazionali. Basta leggerli. Quando Epifani dice certe cose, quando ammonisce Confindustria a stare attenta, non posso che dispiacermene. Sono frasi che non vorrei nemmeno commentare: non è il tono costruttivo che serve ora e non aiuta nè le imprese nè i lavoratori».
Riferendosi al contratto dei metalmeccanici il segretario delle Cgil vi chiede anche se «siete con noi o lavorate per la rottura?».
«Non voglio entrare nel merito di questa trattativa, che è gestita da Federmeccanica, ma nessuno lavora per la rottura. Del resto i contratti aperti oggi sono una quindicina, certo quello dei meccanici è particolarmente importante, ma per noi il problema è generale. E tengo a far presente che tutte le nostre dichiarazioni ed i nostri programmi sono lì a dimostrare che non ci interessa solo recuperare competitività ma che siamo sempre attenti anche alle richieste di miglioramento salariale».
Come si possono coniugare queste esigenze?
«Non certo attraverso i miracoli. Dobbiamo trovare assieme delle soluzioni intelligenti che altri paesi hanno già individuato».
Possiamo fare qualche esempio?
«Le nostre proposte sono molto più evolute di quelle già individuate in Germania da gruppi come Siemens, Daimler-Chrysler o Gm dove si è chiesto ed ottenuto dal sindacato più ore di lavoro a parità di salario. Noi chiediamo solamente più flessibilità per le aziende, per poter lavorare di più quando c’è bisogno usando il sabato. Nessuno ha detto di far tornare il sabato come semplice giorno lavorativo, ma si è solamente chiesto di usare qualche sabato in più quando c’è necessità. Concordando tutto coi sindacati e nel rispetto totale delle leggi sull’orario di lavoro europee e delle norme contenute nei contratti. Insomma, chiediamo di adeguarci alle soluzioni che tutto il mondo industriale europeo sta adottando per cercare di rispondere ad una competizione internazionale che si fa ogni giorno più difficile».
E al contrario dei tedeschi queste giornate in più non saranno lavorate gratis.
«Saranno pagate come straordinari. Nei giorni scorsi il segretario della Uil Angeletti ha detto che vogliamo far lavorare la gente al sabato con la retribuzione del venerdì: non è vero, nessuno ha mai detto questo. E’ una falsa notizia».
Se non si trova un’intesa che scenario vede?
«Francamente, nell’interesse delle imprese e non solo loro, mi auguro che si possa raggiungere un accordo. Ricordiamoci che un’azienda può sempre chiudere i suoi impianti in Italia ed andare all’estero, per i lavoratori la questione è invece un po’ diversa perché sono in gioco i posti di lavoro. A mio parere la delocalizzazione, nonostante l’indifferenza generale si può arginare, ma bisogna evitare che le imprese chiudano».
Ai sindacati cosa propone?
«Di trovare insieme le soluzioni per uscire da questa situazione che ci penalizza. Le imprese e i rappresentanti dei lavoratori devono fare ognuno la loro parte, mentre la politica deve aiutare le imprese riducendo il cuneo fiscale. Su questo insisterò anche a costo di perdere il fiato, anche se mi rendo conto che stiamo un po’ predicando nel deserto. Basti vedere il ragionamento di Epifani, tutto giocato su richieste economiche e rapporti di forza. Io, però, ad un sindacato che come nella recente manifestazione di Roma vuole “mostrare i muscoli” dico che è meglio mostrare cervello. In questa fase far uso dei muscoli non serve».
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