1/4/2004 ore: 11:22

"Inchiesta 1" I nuovi poveri con lo stipendio

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GIOVEDÌ 1 APRILE 2004

 
 
Pagina 13 - Cronaca
 
 
L´INCHIESTA
I nuovi poveri con lo stipendio
Che shock scoprirsi bisognosi

nonostante l´auto e il telefonino
L´allarme della Caritas: "Gente normale risucchiata nella miseria dalla crisi economica"
          Allarme Caritas: migliaia di famiglie medie stanno scivolando verso il basso della piramide sociale

          L´ondata di richieste di aiuto sta mettendo in crisi perfino la collaudata rete di assistenza cattolica
          Non sono più i poveri di una volta. Vivevano nel benessere, ne sono stati privati e ora si vergognano


          MICHELE SMARGIASSI


          TORINO
          QUANDO bussa esitante la signora Emma, vedova senza pensione, calze sdrucite e cappottino allo stremo, con la sua bolletta da 26 euro stretta in mano, a Mario De Vito sfugge un´incongrua espressione di sollievo. «Non ce la fa neanche questo mese, vero Emma? Dia qua, paghiamo noi». I poveri tradizionali stringono il cuore agli angeli custodi della Caritas; però rassicurano, anche.

          Perché sono stabili, prevedibili, gestibili. Aveva ragione Gesù: «Li avrete sempre con voi», sono vecchie conoscenze, si sa sempre come aiutarli, come alleviarne le pene. Quegli altri, invece, i nuovi poveri, i poveri "grigi", spuntati all´improvviso dal crepuscolo tra normalità e miseria, quelli non li abbiamo sempre avuti con noi, sono creature nuove nell´universo del bisogno, alieni cacciati dal pianeta del benessere, il loro apparire suscita sorpresa e senso di impotenza persino in chi ai poveri ha scelto di dedicare la vita. Dalle diocesi piovono alla Caritas italiana rapporti allarmati sul terribile 2003 delle famiglie italiane: 25 per cento in più di richieste d´aiuto a Bologna, duemila nuovi contatti nelle Marche, a Vicenza gli aiuti in denaro per famiglie italiane sorpassano di gran lunga quelli per gli immigrati (38% contro 28%).
          Poveri col cellulare, la tivù e l´auto, poveri che non sembrano poveri: lo stesso concetto di carità cristiana è scosso, la «regina delle virtù» va in crisi quando cerca di indovinare il volto di Cristo non negli occhi del malato, del sofferente, dell´emarginato, ma in quelli del vicino di casa. «Non sono più i poveri a cui eravamo abituati», ammette con sereno sconcerto Mario, diacono dall´aria di nonno, decenni di esperienza nei centri d´ascolto della Caritas di Torino, «io ho scelto di mettermi al servizio degli ultimi, ma questi hanno lavoro, casa, dovremmo semmai chiamarli "i penultimi". Eppure vivono situazioni altrettanto drammatiche. Prenda la signora C., quella che è entrata per prima?». Sì, brutto affare. Lavora nelle pulizie, 650 euro al mese, marito operaio, mille euro in nero, due figli, non andrebbe male se lui non avesse perso il lavoro per un po´, il tempo di accumulare cinque mesi di affitto arretrato, 2200 euro schizzati a 4200 con interessi e avvocato, perché la micidiale «catena di morosità» funziona così, domani arriva l´ufficiale giudiziario e la signora C. 4200 euro sull´unghia non li ha, e così una famiglia con risorse normali sta per finire sulla strada. «Mica possiamo pagarglielo noi il debito, cinque casi così e chiuderemmo», s´arrovella De Vito: in fondo questa è una famiglia che ha un reddito fisso, basterebbe contrattare un rimborso a rate, ma c´è di mezzo l´avvocato, è il mestiere della Caritas trattare con gli avvocati? Chi lo sa. «Ci proveremo». La signora C. torna a casa poco rassicurata, negli occhi il terrore del lastrico, «non siamo ricchi, ma non avrei mai pensato?».
          È stata una dura mattinata al centro d´ascolto "Due Tuniche" di via Saint-Bon, aperto dalla Caritas appena un anno fa e riservato alle famiglie italiane. Sta subito di là dalla Dora, in un quartiere dal nome ingannevole, Aurora, solcato dalla cicatrice di una ferrovia, dove le case sembrano possedere solo il retro. Due tuniche avevano addosso Adamo ed Eva alla cacciata dal paradiso terrestre: per quanto colpevolissimi, Dio non li volle lasciare poveri in canna. Ma che colpa hanno queste madri di famiglia spaventate, la borsetta elegante memore di tempi più felici, il bambino per mano che ride inconsapevole? Che colpa ha F., che si è licenziata dopo vent´anni da commessa perché non le davano il part-time per star dietro ai due figli, tanto c´era il marito lattoniere che guadagnava bene, invece l´hanno licenziato e adesso chi li paga 550 euro di mutuo al mese? Che colpa ha R., vedova di un quadro Fiat, buona pensione ma una mamma malata, che ha chiesto un prestito di 1500 euro a un´amica e quella dopo un mese ne vuole indietro 2000, accidenti che amica? Non lo sanno neanche loro. Non capiscono cosa gli sta capitando, cos´è questo tram che li ha messi sotto. Vengono qui, passando davanti alla statua della Madonna che offre tre roselline di plastica e sembra chiedere un obolo, quando ormai hanno l´acqua alla gola, ma non vanno dall´assistente sociale del Comune perché hanno vergogna, anche un po´ paura: «E se poi mi tolgono i figli?», trema F.
          Sta capitando a loro quello che capita a 25 o 30 mila torinesi. Cioè quasi un terzo dei centomila poveri che la Caritas diocesana, sulla base dei dati dei suoi 70 centri d´aiuto, stima presenti in città. Fa un torinese su nove, percentuale in crescita. «Ma più che l´aumento in quantità», avverte Pierluigi Dovis, il direttore, «ci preoccupa il salto di qualità». Le necessità dei «grigi», dei lavoratori-poveri, non sono certo quelle dei barboni, a cui basta un posto letto e un pasto per scavalcare l´emergenza. «Si va dai 400 euro in su», informa Dovis. L´Ufficio Pio San Paolo, banca dei poveri, ha erogato negli ultimi 3 anni il 30% in più di aiuti monetari. Quando una famiglia «normale» crolla, la sua crisi è fragorosa e le falle non si tappano certo pagando una bolletta. «Non sono i poveri a cui eravamo abituate», ripete anche Giovanna Vergnano, presidente di quelle che una volta si chiamavano Dame di San Vincenzo e oggi, più modernamente, Volontarie vincenziane: «Non basta più una visita, allungare una busta con 50 euro? Qualche volontaria si ritrae, dice "non tocca a noi"?».
          Lo dicono anche molti preti assediati nelle sagrestie da problemi a cui non possono far fronte. Vorrebbe forse dirlo anche don Gianni Bernardi, parroco del Gesù Redentore a Mirafiori, insomma il parroco della Fiat, un´intera parrocchia ormai in cassa integrazione: «Tre anni fa avevamo sette famiglie assistite a pieno carico, ora sono settanta. Questi non sono poveri sfortunati, sono poveri programmati, messi in conto». Politica ed economia li hanno creati, allora «più che carità dovremmo metterci a far politica. E non subire quella di chi dice: diamo un po´ di soldi alla Chiesa e se la vedono loro». L´imperatore romano delegava i poveri al vescovo: dalla Costituzione italiana (articolo 3, «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale?») abbiamo fatto retromarcia fino all´editto di Costantino. Ma don Gianni è un prete, e non chiude certo la porta a chi bussa, anche quando deve inventarsi una carità molto più creativa del mezzo mantello di san Martino: «Mi sono intestato la proprietà della macchina di un piccolo artigiano nei guai, così può essere assistito dai servizi sociali. Non danno contributi a chi possiede un´auto, pensano che sia un lusso e invece è uno strumento di lavoro, se gli togli anche l´auto quel ragazzo non si tira più su». I poveri-lavoratori che non arrivano al 27 del mese, don Gianni non li riceve in canonica, ma al bar: «Si vergognano. Se i vicini di casa li vedono in ufficio da me, nella fila dei poveri, sono bollati». La vergogna è un supplemento di pena per i poveri «grigi». «Mi chiama un padre disperato, sua figlia non esce più dalla sua cameretta. Vado e le dico: te le pago io le scarpe nuove per andare alla festa della tua amica. Mi abbraccia piangendo». La serenità di una ragazzina è salva, ma il buon Samaritano va in crisi: «Questo non è più dare il pane agli affamati. Si vedono poveri perché non comprano più le stesse merci di prima, ma allora è giusto che io li aiuti a rimanere vittime della società delle apparenze e dei consumi?».


          (1. continua)

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