«Il lavoro precario deve costare più di quello stabile»
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Ormai è risaputo, l’Italia non è un Paese per giovani. Sono tempi duri per chi esce dall’ università alla ricerca di una prima occupazione o per chi perde il lavoro edè costretto a rimettersi sul mercato. Oltre agli effetti devastanti della crisi, infatti, il mercato del lavoro italiano è colpito dalla piaga degli stage non retribuiti, dei contratti a progetto, da cervelli in fuga da un lavoro che offre soltanto obblighi arbitrari e dimentica i diritti. Maicome in questo momento il dibattito politico è stato più lontano dai problemi reali dei cittadini e la crisi della maggioranza, ormai acclarata, i contenuti e le modalità con i quali si sta manifestando ne sono una riprova. Chi cerca lavoro è lasciato solo in mezzo alla giungla del precariato, a combattere un sistema che giorno dopo giorno cancella futuro e aspirazioni degli italiani. Un sistema indegno per una Repubblica costituzionalmente «fondata sul lavoro». Il compito di chi come noi siede in Parlamento e rappresenta i cittadini è quello di provare a riportare il dibattito su temi reali: è questo l’obiettivo del disegno di legge contro il precariato, che abbiamo presentato con il collega Treu. Il precariato è uno dei più grandi problemi sociali del nostro tempo; invece di combatterlo a parole o in televisione, abbiamo provato a offrire delle soluzioni concrete su cui speriamo possano convenire i giovani precari e convergere uno schieramento vasto. La nostra idea parte da un presupposto fondamentale: il lavoro precario deve costare più del lavoro stabile. Perché fintanto che la precarietà costerà meno, continuerà a esistere e prosperare. Questo è il cuore del problema e bisogna affrontarlo di petto. Un problema che non è aggirabile con interventi sulla natura del rapporto di lavoro, con la riduzione delle tutele per alcuni, con la cancellazione dell’articolo 18. Per eliminare la precarietà bisogna aumentarne i costi in base al principio della parità di costo a parità di prestazione e renderla sconveniente. E’ un’idea semplice ma crediamo efficace, da implementare parificando la contribuzione per rendere meno appetibili le forme di contratto maggiormente «precarizzanti » e, allo stesso tempo, estendendo una serie di tutele per chi oggi ne è privo - incentivi per la formazione professionale, lotta allo stage senza regole, estensione di diritti sindacali e trattamenti pensionistici adeguati - che cancellino quelle zone d’ombra del precariato selvaggio in cui finiscono sempre più spesso i nuovi lavoratori. Occorre contestualmente premiare le imprese che stabilizzano il lavoro con incentivi fiscali e mirare
ad una progressiva riduzione del costo del lavoro, attraverso la riduzione del cuneo fiscale. Inoltre, siamo convinti che per rendere efficaci queste misure nel lungo termine sia necessaria una nuova attenzione alla formazione continua del lavoratore, un aspetto oggi ignorato in Italia ma centrale in molti paesi europei perché decisivo al fine di reinserire nel mercato del lavoro chi il lavoro lo ha perso. Con questa proposta abbiamo voluto dare un segnale ai giovani,
a chi ha appena perso un lavoro o a chi non riesce a trovarlo: il Partito democratico c’è, la precarietà si può sconfiggere e noi abbiamo un’idea di come farlo. Non si può dire certo altrettanto di questo governo che, però, finalmente è arrivato al capolinea.