 giovedì 12 giugno 2003
Aumenta la diffidenza verso il prossimo, ma un numero sempre maggiore di persone considerano determinanti la solidarietà e l’amicizia
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«Gli italiani? I più infelici del mondo»
Inchiesta del Censis: cresce la nostra insoddisfazione per la qualità della vita. Salute, lavoro e previdenza causano stress
ROMA - Se la soddisfazione per la qualità della vita può equipararsi alla felicità, allora, secondo un’indagine del Censis condotta su 40 paesi, compresi Cina e Filippine, gli italiani sono i più infelici del mondo e gli svizzeri i più felici. La ricerca, realizzata nel 2003 e presentata ieri a Roma nell’ambito delle manifestazioni per il «mese sociale», non ha la pretesa d’identificare una felicità di tipo esistenziale, ma piuttosto si occupa di misurare la coesione sociale quantificando il livello della protesta, il lamento per tutto ciò che non funziona. Scopriamo così che in Italia si registra la più alta percentuale d’insoddisfazione rispetto agli altri paesi (26,4% contro una media del 18,7%) e che il malcontento è più alto nel nord-ovest del paese (29,6%), nei grandi centri urbani (28,2%), tra le donne (30,8%) e le persone con bassa scolarità (33,7%). Nella graduatoria internazionale, gli svizzeri sono quelli che si lamentano di meno (solo il 3,6% d’infelici), seguiti dai cittadini statunitensi (7,8%), dagli austriaci (8%), dai giapponesi (8,3%) e dagli inglesi (8,5%). Fanalino di coda l’Italia, con 26,4% d’infelici e il 71,4% di persone felici (contro una media internazionale del 78,2%). Da dove viene lo scontento? Secondo Giuseppe Roma, direttore del Censis, dall’erosione del welfare: «E’ in atto un tentativo di spostare costi e rischi della protezione sociale sul privato, senza una valutazione delle concrete situazioni». Sono circa 7 milioni e mezzo gli italiani che indicano come principale preoccupazione lo stress dovuto alle crescenti responsabilità nel lavoro, alle preoccupazioni per la salute e la previdenza pubblica. «Gli italiani - dice Giuseppe Roma - sentono aumentare le responsabilità personali, con un senso di solitudine generale e d’insicurezza sociale dove si tende a scaricare tutto sulle famiglie in difficoltà». Ma la famiglia, secondo il 65% degli italiani, è troppo sola e non viene aiutata dalle istituzioni nel momento del bisogno. «La società italiana sta cercando nuove forme di coesione - conclude Giuseppe De Rita, presidente del Censis - quella legata alle sicurezze e alle garanzie non esiste più». Protagonista di questa «nuove forme» la famiglia, con la sua tradizionale rete di assistenza. L’84,8% degli italiani pensa che sia compito dei figli adulti prendersi cura dei genitori, (contro il 73% negli altri paesi). Il 51,4% degli italiani abita a non più di 15 minuti dalla casa di mamma (una comodità di cui mediamente negli altri paesi dispone solo al 33%). Il 25,2% degli italiani, in caso di difficoltà, per avere aiuto si rivolgerebbe ai propri genitori (ma solo il 16,8% negli altri paesi). I nonni restano fondamentali: nel 64,5% delle famiglie hanno giocato o giocano tuttora un ruolo di riferimento. Nelle difficoltà rischia di prevalere la diffidenza: il 67,5% pensa che «se non si fa attenzione gli altri si approfittano di te». La fiducia nello Stato e nelle istituzioni scarseggia: il 30% non si sente rappresentato da nessuno. Ma al quadro di sfiducia gli italiani reagiscono puntando sui valori antichi dell’amicizia e della solidarietà. L’80,3% ha dedicato tempo a persone che si sentivano depresse, il 59,2% ha inviato denaro ad associazioni del volontariato, il 20,8% ha partecipato a progetti di adozione a distanza. Dopo quella familiare, la seconda rete di protezione è quella amicale. Secondo il 58,1% degli intervistati, quando si hanno disponibilità economiche aiutare gli amici in difficoltà è un dovere.
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Claudio Lazzaro
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