28/9/2004 ore: 11:21
"Gdo 4" Soldi (Coop): «Esselunga interessa anche a noi»
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Soldi (Coop): «Esselunga interessa anche a noi» «Ammesso che sia in vendita e che il prezzo richiesto sia quello giusto» Se una partita si dovrà giocare, a partecipare non saranno solo i gruppi esteri. Ci sarà anche Coop. Che oggi si dice interessata a Esselunga, posto che il suo patron Caprotti voglia effettivamente venderla. E posto che il prezzo sia quello giusto. Aldo Soldi è il presidente di Coop Italia, il maggior gruppo italiano della grande distribuzione, oltre 11 miliardi di ricavi e una quota di mercato del 17% con i 1.261 punti vendita distribuiti nel Paese (quattro in Croazia, area di nuova esplorazione). Si parla molto di una nuova crescita di operatori esteri nella grande distribuzione italiana. Sarà davvero così? «È vero che il mercato italiano è arretrato rispetto a quello degli altri Paesi e quindi c’è ancora spazio per la modernizzazione e per una ulteriore presenza della grande distribuzione. Ed è evidente che questi spazi sollevano attenzione, interesse e appetiti da parte di grandi operatori stranieri, alcuni dei quali peraltro sono già presenti da tempo. Se poi, però, questi si concretizzeranno in iniziative di affari o acquisizioni non lo so, certo non lo spero». Chi si occupa di grande distribuzione dice che per Wal-Mart avrebbe senso entrare in Italia solo con una grande acquisizione, una della vostra taglia... «(ride) No, noi non siamo in vendita. E abbiamo una tipologia societaria tale da non consentire vendite, scalate o passaggi parziali di proprietà: abbiamo 5,5 milioni di soci». ... mentre con Esselunga Wal-Mart prenderebbe di fatto solo la Lombardia. «Sì, la Lombardia e parte della Toscana». Ma Coop come reagisce? «Stiamo lavorando, e in parte attuando, a un programma molto intenso che vede tra l'altro lo sviluppo in tutte le regioni del nostro Paese e con tutte le tipologie, dall’ipermercato al centro commerciale, dal supermercato al piccolo super di quartier, fino ai discount. E’ un programma di crescita consistente e impegnativo, uno dei modi per fronteggiare la forte presenza degli stranieri». Una crescita per linee interne, nessuna acquisizione. «Fondamentalmente intendiamo crescere per linee interne, ma se poi se ci sono opportunità di acquisizioni cerchiamo di capire cosa conviene fare». Avete operazioni in corso? «Direi che buona parte delle cose di cui si parla sono solo notizie di stampa». Intende dire che non si sa se Caprotti vende davvero. «Appunto. E’ una voce che si rincorre da molto tempo, anche se i fatti accaduti negli ultimi anni potrebbero far pensare a una accelerazione». Voi sareste interessati a Esselunga? «Direi di sì, dipende dal prezzo. D’altra parte, ormai da molte parti tutto si gioca sul prezzo». C’è anche la partita sulla Rinascente. «Quella mi sembra una situazione più definita, con lo sviluppo di un rapporto già in essere con Auchan». Lei crede che Wal-Mart entrerà sul mercato italiano? «Certamente ha dei piani di sviluppo aggressivi, anche se le esperienze che ha fatto in Europa sono disomogenee tra di loro. In ogni caso, deve sapere che il mercato italiano non è facilissimo e, quindi, se intende entrare deve stare stare molto attenta a cosa va ad acquisire. Di Wal-Mart conosciamo lo stile di vendita e le caratteristiche dello stile di conduzione, è difficile pensare che possa aprire un supermercato all’anno». Perché fa così paura? «È un gruppo potentissimo, perché possiede una capacità di investimento e di sostegno delle sue iniziative che non ha eguali nel mondo, con un fatturato che è superiore al Pil di tantissime nazioni del mondo. Se arriva, però, dovrà misurarsi con chi è in Italia. Noi faremo i conti con loro, ma anche loro dovranno farli con noi». Qual è il cambiamento più significativo che sta portando la presenza delle grandi catene straniere? «Una crescente internazionalizzazione dei consumi. Oltre a noi, credo che debba essere preoccupata la nostra produzione nazionale che è fatta in gran parte di piccole e medie aziende. Imprese con le quali noi facciamo accordi di promozione, di crescita, di partnership. I grandi gruppi stranieri traggono la loro forza dal fatto di fare accordi su scala mondale, ma accordi di questo genere non si fanno con il piccolo produttore di Salerno, piuttosto invece con le grandi multinazionali che producono alimenti. Il rischio, insomma, è quello di un maggior "anonimato" nel consumo e nei riassortimenti». C’è una reazione del sistema della grande distribuzione italiana? Ci sono discussioni tra le catene o delle catene con il governo? «Abbiamo fatto questo accordo con il governo sui prezzi, è un segnale. Ma non ci sono intese sul piano economico che consentano di far fronte a una presenza più forte dei concorrenti stranieri. I mercati sono aperti e un eccesso di protezionismo non è auspicabile. Semmai, la crescente internazionalizzazione ci spinge ad accentuare le nostre caratteristiche di fondo; bisogna che gli imprenditori italiani, e noi per primi, lavorino per caratterizzarsi». M. S. S. |