13/10/2006 ore: 12:27

"Fisco" Provaci ancora Visco a tassare le rendite

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    venerd? 13 ottobre 2006

    Pagina 46- Economia

    PROVACI ANCORA VISCO
    A TASSARE LE RENDITE
      Pochi introiti ma gravi distorsioni al sistema finanziario

      ALESSANDRO PENATI
        La riforma della tassazione delle "rendite" generer? pochi introiti (1,1 miliardi stimati nel 2007; 2 miliardi nel 2008), ma rischia di imporre gravi costi e distorsioni al sistema finanziario. Riduce il rendimento reale sul risparmio delle famiglie, gi? pericolosamente vicino allo zero, data la loro propensione a investire in obbligazioni, gli alti costi di gestione e intermediazione, e il basso livello dei tassi. E porter? al 51-56% la quota dei redditi da capitale assorbita complessivamente dallo Stato. Quanto alle pretese di equit?, la riduzione dell?aliquota sui depositi bancari per favorire il risparmio dei meno abbienti, non serve: con un rendimento pi? basso dell?inflazione, ulteriormente ridotto dai costi di amministrazione, i depositi rappresentano gi? una tassa sul patrimonio. Che l?aliquota sia al 20% o al 27%.

        Ma il peggio ? nei dettagli. La Commissione istituita per la riforma, rigetta il principio secondo cui le imposte sui redditi finanziari vanno escusse nel momento in cui si realizzano: cio? si pagano quando si incassa una cedola o si monetizza una plusvalenza. Un principio adottato universalmente. La riforma propone invece di tassarli tutti alla maturazione, cio? alla fine di ogni anno, realizzati o meno.

        Chiunque abbia comprato un?azione sa quanto repentinamente il profitto pu? trasformarsi in perdita. Tassando il maturato, si tassano plusvalenze ancora solo sulla carta: imposte vere per profitti virtuali, che potrebbero trasformarsi in perdite. Il danno e la beffa. E nel caso di perdite non compensate da guadagni su altri investimenti, l?investitore beneficer? di un bel credito di imposta per l?anno successivo, che non rende niente. Il sistema incentiva l?accentramento di tutti i risparmi presso un?unica banca, perch? le perdite su attivit? detenute presso un intermediario non possono essere compensate con i guadagni fatti con un altro nello stesso periodo. Ma scoraggiando l?accesso del risparmiatore a reti di distribuzione alternative, si elimina un incentivo efficace alla concorrenza tra banche.

        C?? poi il problema di come pagare le imposte. Impensabile che gli intermediari siano autorizzati a vendere forzosamente i risparmi degli investitori per generare la liquidit? necessaria a saldare le imposte. Diventa quindi obbligatorio avere un conto corrente di appoggio per ogni deposito titoli (con i relativi costi); che verrebbe alimentato da una linea di credito automatica (a quali condizioni?). Cos?, la banca diventa anche il commercialista degli italiani.

        Ci sono poi gli effetti collaterali. La riduzione dell?aliquota sui depositi al 20% spalanca le porte al grande ritorno dei certificati di deposito. Ve li ricordate? Emessi direttamente dalle banche, senza la trasparenza di un mercato, con costi e convenienza impossibili da valutare per il risparmiatore che, in caso di riscatto anticipato, ? in balia dell?emittente. Baster? poi ancorare il rimborso dei certificati all?andamento di qualche paniere di titoli o indice per replicare, senza obbligo di prospetto, le obbligazioni strutturate: quei costosi, dannosi e inutili strumenti finanziari di cui sono piene le tasche dei risparmiatori. Ma con la tassazione del maturato ci sar? una ragione in pi? per comprarli: non essendoci per questo strumento alcun prezzo di mercato (che sarebbe comunque scarsamente significativo, come ? per alcune obbligazioni), eventuali plusvalenze potranno essere facilmente contabilizzate alla scadenza, rinviando il pagamento delle imposte.

        L?amore di Visco per la tassazione del maturato non ? nuovo. Cerc? di introdurla nel 1998, con il risultato di creare l?attuale segmentazione della tassazione del risparmio in tre regimi diversi, che discrimina arbitrariamente intermediari e tipologie di investimento, riducendo l?efficienza del sistema finanziario.

        Perch?, nonostante gli insuccessi passati, e il rischio di aggiungere costi e distorsioni, la Commissione lo ripropone? Risposta sorprendente: per evitare comportamenti elusivi. Gli investitori potrebbero anticipare la realizzazione delle minusvalenze, incassare il credito di imposta, per riacquistare subito dopo i titoli venduti. E rinvierebbero quella della plusvalenze, per posticipare il pagamento dei tributi. La letteratura ha evidenziato come queste strategie elusive siano adottate prevalentemente dai fondi pensione anglosassoni a benefici definiti (che in Italia non esistono). Questi, avendo impegni a lungo termine nei confronti degli iscritti, devono necessariamente investire in titoli di stato a rischio nullo, e detenerli fino alla scadenza. Ma se l?investimento ? rischioso, o non c?? la necessit? di detenere i titoli fino a scadenza, questa strategia ? superflua e impraticabile: un investitore razionale non detiene un titolo, rischiando di perdere, solo per rimandare un?eventuale tassa sulle plusvalenze; e se liquida una posizione in perdita ? perch? ritiene di aver perso abbastanza, non certo per incassare un credito di imposta; n? pu? sapere a che prezzo potrebbe riacquistare l?attivit? venduta per eludere il fisco. In ogni caso, il costo per l?erario sarebbe risibile.

        Il dogmatismo ? nemico delle buone riforme fiscali. E se si fonda su presupposti contorti e vacillanti, invece di colpire ricchi rentier finisce per danneggiare il sistema e fare regali ingiustificati alle banche, a spese dei risparmiatori.

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