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Allarme in Europa sui fondi pensione
 Timori per i «buchi» nei conti integrativi aziendali ALESSANDRO MERLI
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DAL NOSTRO INVIATO LONDRA - La crisi dei sistemi pensionistici pubblici è nota da tempo. Ora l'allarme si sta propagando ai fondi pensione privati, soprattutto a quelli aziendali diffusi in diversi Paesi europei, dalla Gran Bretagna all'Olanda alla Svizzera, che rischiano di mettere a repentaglio la stabilità finanziaria di alcuni dei più grandi gruppi quotati, nonché i risparmi di milioni di persone. Le cifre sono preoccupanti. Secondo calcoli dalla banca d'investimento Dresdner Kleinwort Wasserstein, il deficit pensionistico di 185 società comprese nell'indice Ftse Eurotop 300, che comprende i gruppi a maggior capitalizzazione sulle Borse europee, ammonta a 275 miliardi di dollari (circa 250 miliardi di euro). Nella sola Gran Bretagna, Ubs Warburg stima che il buco per le società del Ftse 100 sia di 63 miliardi di sterline (quasi 95 miliardi di euro), pari all'8% della loro capitalizzazione. Ma ci sono anche valutazioni più pessimistiche. Per Morgan Stanley, il deficit delle 100 società che compongono il principale indice della Borsa di Londra arriva a 85 miliardi di sterline. Le cause del buco. Come si è arrivati a questa situazione che, per diversi gruppi, molti analisti della City definiscono drammatica? I fondi pensione sono stati colpiti dall'insolita combinazione di bassi tassi d'interesse, quindi bassi rendimenti sulla quota del portafoglio investita in obbligazioni, con il crollo dei mercati azionari. Questo si è fatto sentire in modo particolarmente pesante nei Paesi anglosassoni, dove i fondi pensione hanno la tradizione di investire prevalentemente in azioni. In Gran Bretagna, la situazione è stata aggravata dal fatto che molte società si sono avvalse negli anni 90, durante la lunga fase di rialzo delle Borse, di una cosiddetta "vacanza" dal versamento dei contributi, quando questi venivano coperti dall'aumento delle quotazioni in Borsa. Secondo Wm, una società di ricerca specializzata nell'analisi dei fondi pensione, le perdite accumulate da questi nel solo 2002 hanno toccato i 100 miliardi di sterline (quasi 150 miliardi di euro), pari a un calo del 13,9%. La cifra, resa nota questa settimana, è molto più alta di quanto si pensasse fino a poco tempo fa e dev'essere aumentata tenendo conto delle ulteriori perdite accumulate dai mercati quest'anno. La Wm ritiene che negli ultimi tre anni i fondi pensione inglesi abbiano accusato un rendimento medio negativo dell'8,2 per cento. Nel mirino. Il problema dei fondi pensione aziendali è stato evidenziato negli Stati Uniti fin dallo scorso anno, quando società come Ford e General Motors hanno subito un declassamento del proprio rating, in parte a causa delle passività di lungo termine dei rispettivi fondi pensione. In Europa, uno stato di cose simile è stato evidenziato il mese scorso dall'agenzia di rating Standard & Poor's, che ha segnalato 12 gruppi europei (gli inglesi Rolls-Royce, Sainsbury, Bae Systems, Pilkington, Gkn, i tedeschi Deutsche Post, Linde e ThyssenKrupp, i francesi Arcelor e Michelin, la portoghese Portugal Telecom e l'olandese Tpg) passibili di downgrading qualora il continuo calo delle Borse dovesse portare a un ulteriore deterioramento dei conti dei fondi pensione. Peraltro, se gli investitori si renderanno conto del rischio di tenere in portafoglio azioni di società quotate con grossi fondi pensione potrebbero decidere di disfarsene, provocando un nuovo calo dei titoli e quindi alimentando un circolo vizioso. La situazione ha provocato anche un ripensamento delle strategie d'investimento dei fondi pensione. Fin dall'anno scorso, il fondo della Boots, un'importante catena di farmacie inglesi, ha spostato il suo intero portafoglio di 2,3 miliardi di sterline dall'azionario all'obbligazionario. E, lentamente, altri si stanno muovendo nella stessa direzione, anche se il calo della percentuale di azioni nei portafogli dei fondi pensioni va attribuito soprattutto alla riduzione del valore dell'investimento a causa dei ribassi di Borsa. Così, la quota azionaria dei fondi pensione inglesi, secondo cifre elaborate da Wm, è scesa dal 71 al 64%, ma i fondi hanno continuato a investire pesantemente in Borsa. I gestori si trovano davanti al dilemma di dover operare lo switch nel momento in cui ritengono che, dopo tre anni di ribassi, le Borse possano riprendersi, mentre i titoli di Stato possono essere arrivati a fine corsa dopo un rialzo straordinario. Gli analisti di DrKW ritengono che questo sia un errore (forse con la sola esclusione della Borsa inglese) perché negli Stati Uniti e in Europa continentale le aspettative sugli utili sono tuttora poco realistiche e le valutazioni eccessive. Ancor più preoccupante, dicono alla DrKW, il tentativo di molte società di difendere la propria strategia, basandosi su proiezioni troppo alte sui ritorni futuri dell'azionario.
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