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gioved? 11 maggio 2006
Pagina 4 - Primo Piano
Ingrao ?Napolitano ormai da tempo non ? pi? un comunista, io s?
intervista Riccardo Barenghi
ROMA Una vita nello stesso Partito, quello comunista. Ma sempre su sponde opposte. Uno, delfino di Giorgio Amendola e poi a sua volta leader della cosiddetta destra comunista o socialdemocratica o riformista o migliorista a seconda dei tempi; l’altro, leader della sinistra comunista, un ingraiano doc. Infatti si chiama Pietro Ingrao. E con lui commentiamo nella sua casa romana l’elezione al Quirinale del compagno-rivale. Quello che, se stava di l?, lui si metteva di qua e viceversa. I due raffigurati da Forattini su La Stampa del 1983 come due cuori da trapiantare nel corpo di Berlinguer, con un Marx chirurgo indeciso tra ?Core Ingrao? e ?Core Napolitano?. Anche quello con cui per? i rapporti sono sempre stati ?di stima reciproca, Giorgio ? un uomo gentile?.
Non a caso l’anno scorso al novantesimo compleanno di Ingrao, Napolitano gli fu sempre accanto, addirittura lo accompagn? sottobraccio fin dentro la sala della festa.
Ingrao, che impressione le fa che Giorgio Napolitano, uno che ha trascorso la sua vita politica da comunista come lei, arrivi al Quirinale? Qualche emozione?
?Mi fa molto ma molto piacere, e non solo per le vicende che ho vissuto con lui in un’intera vita ma anche per la stima che nutro per Giorgio. Lo ritengo una figura forte: s? ecco esattamente questo ? l’aggettivo, forte, per fare il Presidente della Repubblica. Eppoi, diciamolo, che un uomo con la sua storia, passato attraverso quelle grandi e gravi lotte della sinistra italiana, salga a quel soglio ? una novit? politica che non pu? essere oscurata?.
Secondo lei sarebbe stato pi? giusta, pi? corretta istituzionalmente, un’elezione bipartisan, con il concorso del centrodestra?
?Non ? un fatto che mi appassiona, l’elezione a maggioranza nulla toglie al suo significato e al suo valore. Non penso affatto sia un’elezione dimezzata, io non sono convinto che si debba andare a voti plebiscitari. Magari un po’ troppo rudemente, direi cos?: peggio per chi non l’ha votato e non ha saputo cos? riconoscere la qualit? e la capacit? di garanzia che offre Napolitano?.
Senta Ingrao, nella vostra comune storia nel Pci vi siete sempre trovati su sponde opposte, anche con duri scontri tra voi?
?Intanto voglio dire che non ? mai mancata la reciproca stima, anche nei momenti pi? difficili. Se devo essere sincero, con Giorgio non ricordo di aver avuto confronti violenti, a muso duro. Come invece mi accadeva con Amendola, il suo maestro politico. Che un giorno mi mise letteralmente al muro, minacciandomi fisicamente: io lo mandai a quel paese. Ma Amendola era un sanguigno, Napolitano ha tutt’altro carattere e infatti con lui episodi del genere non ne accaddero mai. Ricordo per? che all’XI congresso Pci del ‘66, lui ebbe un ruolo importante nella battaglia che Amendola e gran parte del gruppo dirigente fecero contro le mie posizioni. Alla fine io e tutti quelli che stavano con me fummo sconfitti ed emarginati. Qualche anno dopo Giorgio fu chiamato a Botteghe Oscure insieme con Berlinguer e a Cossutta. Furono loro i tre delfini del segretario, e Napolitano aveva buone possibilit? di succedergli. Alla fine per? prevalse Berlinguer?.
Ma se dovesse spiegare oggi a chi non sa molto della storia del Pci le ragioni del vostro scontro, cosa gli direbbe?
?Mica facile, bisognerebbe rifare tutta la storia... diciamo che Amendola e Napolitano guardavano alla loro destra, ai socialisti, alle forze centriste, noi guardavamo a sinistra, soprattutto alla societ?, alla classe operaia e ai mutamenti che stavano avvenendo in quella straordinaria stagione che furono gli anni sessanta. Ai metalmeccanici per esempio, quelli di Bruno Trentin, quelli dell’autunno caldo. Ecco, non mi pare che questa mia visione avesse una qualche sintonia con la visione della societ? che incontravo leggendo uno scritto di Giorgio?.
Non mancava nei vostri scontri nemmeno la questione della democrazia interna.
?No, per niente. La mia rivendicazione del diritto al dissenso fu respinta. Anche in modo aspro da gran parte del gruppo dirigente, Amendola, Pajetta, Alicata, Napolitano... Per? dentro il Partito ce ne dicevamo di tutti i colori?.
Nel chiuso delle stanze il dissenso c’era, vi scannavate?
?Diciamo che anche in un partito rigido e disciplinato come il Pci le differenze e le diversit? profonde di valutazione politica sono state molto pi? numerose e anche accese di quanto sia stato raccontato. Sarebbe insomma ora di cancellare quest’idea del partito monolitico. Discutevamo, litigavamo, eccome se litigavamo. E pure io stesso, che invocavo il diritto al dissenso, non ero poi particolarmente mite nelle polemiche?.
Era pi? mite Napolitano di lei?
?Beh, non esageriamo... E’ un compagno che fa parte della mia storia, della storia che io ho vissuto. Non so cosa pensa oggi Giorgio di quelle nostre lotte roventi, io ricordo che erano confronti su punti cruciali della lettura del mondo. Sull’idea stessa di comunismo, sulla strategia della rivoluzione (posso usare questa parola oggi cos? dimenticata?). Non dimentico nulla dei miei errori e delle mie sconfitte, tuttavia so che noi avevamo in testa – noi tutti, Napolitano, io, il Pci insomma – un’idea di cambiamento della societ?, di una sua ristrutturazione su altre basi. Volevamo una mutazione radicale delle forme di lavoro e dei gruppi dirigenti. Ma siamo stati sconfitti, tutti?.
Siete stati nello stesso partito durante gli anni della Guerra Fredda, anche questo era un collante che teneva insieme personaggi cos? diversi come lei e Napolitano?
?Ci trovavamo in un punto cruciale della lotta di classe nel mondo, due grandi costellazioni che si scontravano e l’Italia era una parte di quel confine. Noi ci ponevamo un interrogativo che oggi appare sbiadito, ossia quale dovesse essere “il destino dell’uomo”. Anche per questo forse abbiamo commesso tanti errori, il mio pi? grave – l’ho ricordato tante volte – fu quello sull’invasione sovietica dell’Ungheria. Quel famigerato editoriale che scrissi sull’Unit? “Da una parte della barricata”. E la parte da noi scelta era purtroppo quella sovietica?.
Anche Napolitano prese quella posizione, disse che ?l’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos della controrivoluzione, ma alla pace nel mondo...
Ecco appunto, siamo stati legati anche da errori comuni e tragici. Ci riscattammo anni dopo, ribellandoci insieme all’invasione sovietica di Praga. Ricordo che quella sera dell’agosto ‘68 ero nel mio paese natale, a Lenola, nel basso Lazio; mi chiamarono da Botteghe oscure, tornai a Roma nella notte e con Cossutta stilammo il comunicato di condanna dell’invasione. Lo pubblic? l’Unit? e la mattina lo leggemmo al telefono al segretario Luigi Longo che era a Mosca e che fu d’accordo. Anche Napolitano era d’accordo?.
Adesso che lui ? il Presidente della Repubblica, da comunista a comunista, lei cosa gli consiglierebbe, Ingrao?
?Intanto diciamo che lui non ? pi? comunista da tempo mentre io lo sono ancora, ma questa ? un’altra storia. Se devo chiedergli qualcosa, magari gli scoccia, chiss?. Ma s?, gliela dico lo stesso: spero che lui faccia quel che non Ciampi non ha fatto. Ossia garantire il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra”?.
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